L’Odissea e il mondo antico tornano al cinema con questo dramma che porta sullo schermo l’ultima parte delle imprese di Ulisse. Questa solenne interpretazione del poema greco conferma la perenne attualità del mito.
Il mondo antico al cinema
Il cinema ha avuto un rapporto preferenziale con il mito ai suoi albori e l’Italia, con gli studi cinematografici di Torino, è stata il principale propulsore di questa tendenza. Erano i peplum e il taglio di queste prime opere era a metà tra un’effettiva trasposizione storica e letteraria e un adattamento da un fumetto. Negli anni’50 il genere è riesploso ma con un maggiore rigore storico e Hollywood ha cominciato a fare suo questo filone. Il genere ha poi vissuto di fiammate: negli anni 2000 ci sono stati Il fortunatissimo Gladiatore di Ridley Scott e il criticato Troy di Wolfgang Petersen. Dopo il frettoloso film sulla guerra di Troia con Brad Pitt nei panni dell’eroe Achille, i poemi omerici tornano sul grande schermo con questo lungometraggio del regista italiano Uberto Pasolini. Non lè a prima volta però che l’Odissea si fa oggetto di una trasposizione filmica: Odissea è una miniserie televisiva del 1968 coprodotta da Italia, Germania Ovest, Francia e Jugoslavia da cui poi è stata ricavata una trasposizione cinematografica ridotta intitolata Le avventure di Ulisse. Nell’immaginario collettivo il volto dell’attore protagonista Bekim Fehmiu, jugoslavo di etnia albanese, è diventato quello dell’astuto eroe omerico. Era un adattamento abbastanza attento ma leggero, adatto a un generico pubblico di famiglie.

Inquadramento storiografico
Il filone ha trovato nuova linfa con questa produzione italo-inglese la cui regia viene affidata all’italiano Uberto Pasolini. Se in Troy la narrazione risultava compressa mettendo troppa carne al fuoco per quella che doveva essere la durata della pellicola Itaca, Il Ritorno (nella versione inglese soltanto The Return, come a sottolineare la natura archetipica dell’oggetto della vicenda), si concentra solo sull’ultima parte del viaggio, appunto incentrata sul ritorno del re ad Itaca, dopo tanto peregrinare. I poemi omerici si ambientano presumibilmente nel dodicesimo secolo avanti Cristo, sull’orlo della fine della gloriosa civiltà micenea, a cui sarebbero seguiti quattro secoli di scarsità di testimonianze archeologiche, interpretati come una fase di misterioso declino chiamato Medioevo Ellenico. Essi rappresentano una rappresentazione dei valori della società della Grecia arcaica, anche se la figura di Ulisse si staglia da questo contesto narrativo. La stessa storicità della figura di Omero è dubbia e queste storie che si narravano oralmente sono state organizzate e messe per iscritto secoli dopo la loro elaborazione. Successivamente a questo periodo oscuro si colloca l’epoca delle poleis greche con tutto il suo splendore, le quali furono la culla della civiltà classica insieme a Roma. Se l’Iliade tratta della guerra di troia tra Achei e Troiani lunga ben dieci anni, l’Odissea affronta successivo peregrinare durato ben altri 10 di uno dei più valorosi guerrieri dell’esercito greco, nonché appunto re di Itaca: Ulisse.

Un nuovo Ulisse
L’eroe greco ha il volto scavato dell’inglese Ralph Fiennes, che fornisce una prova recitativa di grande intensità. Quello che viene inteso come un personaggio solare viene reso a tinte scure e solenni, con un montaggio che si sofferma in silenzio su intensi primi piani e un ritmo riflessivo, lontano da quello frenetico da videoclip di molte produzioni commerciali. Due elementi naturali dominano spesso la scena: l’azzurro del mare irrequieto e il rosso del fuoco, che illumina scene spesso buie. La fotografia sceglie tinte sature e leggermente opache, come a indicare un passato che si fa eterno presente per via della contemporaneità del mito. La scelta di un cast multietnico con attori delle origini più disparate (indiane, africane subsahariane e maghrebine) appare una scelta gratuita e dettata dalle tendenze politicizzate della cancel culture, come stridono alcuni tagli di capelli anacronisticamente troppo moderni. Il fatto che la produzione sia in parte italiana permette a Claudio Santamaria di vestire i panni di Eumeo, il servitore devoto che rimane devoto al suo re, in un’interpretazione asciutta e convincente. Juliette Binoche è l’ostinatamente fedele regina Penelope, struggente e malinconica. Telemaco è il figlio che non riesce a autodeterminarsi come adulto vivendo in un limbo, incapace di cercare e conquistare una propria via. Il delicato Charlie Plummer riesce solo in parte a essere credibile in un ruolo dove non sembra funzionare fino in fondo. Antinoo, apostrofato da Omero come il più scellerato e insolente degli usurpatori Proci, ha il volto troppo monocorde di Marwan Kazari.

Un uomo che fatica a sopportare il peso della perdita dei suoi uomini e il senso di colpa per esser stato lontano così tanto tempo porta un fardello pesante che gli impedisce di essere l’eroe astuto e intraprendente, quasi sbarazzino, che si è portati a immaginare. Una volta ritrovata coscienza del proprio ruolo saprà dimostrarsi un guerriero formidabile e abilissimo, rispolverando una volontà ferrea. Anche il trionfo è comunque introspettivo e serafico. Si tratta di una pellicola che compie una precisa scelta stilistica e concettuale e porta avanti la scelta con sostanziale autorevolezza. Stonano alcune scene però, fortunatamente non molte, che sembrano superficiali e macchiettistiche, come Antinoo che si sorseggia una tazza di qualcosa durante la strage dei Proci o Telemaco che parte a via mare a trovare il suo posto nel mondo, dando l’idea che lla questione sia stata liquidata con superficialità.

Ulisse, un umanissimo Uomo moderno
Nel complesso, nonostante alti e bassi, il film riesce a rendere in maniera vibrante una storia che è parte fondamentale non solo della cultura classica ma di tutta la cultura europea. Ulisse incarna la volontà di spingersi oltre i limiti imposti: Dante lo mise nel girone dei fraudolenti, per gli inganni che ha ordito e per la disinvoltura un filo cinica con cui ha saputo mentire quando necessario. Nel Canto XXVI della Divina Commedia gli fa anche pronunciare le celebri strofe:
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.”
Si tratta di una frase che poteva esser pronunciata con la stessa potenza ed efficacia da un navigatore protagonista delle scoperte geografiche di età moderna, da un astronauta che si avventura nelle distanze siderali dello Spazio o addirittura da un uomo delle caverne che si avventura a cercare nuovi territori. Ulisse è il coraggio, la sete di conoscenza, l’astuzia, l’ingegno. Ulisse è l’Uomo moderno che ha l’ardire di ergere se stesso al centro dell’Universo ben prima della Modernità andando alla ricerca della sua vera natura e del mondo. Ulisse è la miccia di ogni progresso: è la curiosità e anche la capacità di affrontare le avversità con astuzia. Ulisse è il meno idealizzato tra gli eroi omerici. E questo nuovo Ulisse cinema è infatti anche semplicemente un uomo legato alla sua terra e ai suoi affetti che affronta i tormenti interiori per riuscire di nuovo ad assaporare il calore di un talamo nuziale per troppo tempo abbandonato e il sapore autentico di un’esistenza di nuovo sobria e verace.
