La Guerra Civile che dal 2011 devasta la Siria ha conosciuto una svolta con la caduta del Presidente della Siria Bashar Al-Assad, sostituito con Mohammad al-Bashir. La situazione del Paese arabo resta difficile e dietro appare la volontà dell’Occidente di inserire una sua pedina.
Un Paese turbolento
La Siria è un Paese arabo del Vicino Oriente situato nell’Asia Occidentale che conta circa 22 milioni di abitanti a maggioranza religiosa islamica sunnita, ma con importanti minoranze. La popolazione è concentrata quasi esclusivamente in prossimità della costa mediterranea ma l’interno riveste grande importanza: quel territorio è ricco di risorse naturali che fanno gola, soprattutto petrolio e gas naturale, utilizzati per l’approvvigionamento energetico. Il Paese conobbe l’occupazione turca coll’annessione all’Impero Ottomano, terminata con la Prima Guerra Mondiale. L’Accordo Sykes-Picot del 1916, con cui Francia e Regno Unito si spartirono i territori dell’Impero Ottomano, mise il Paese sotto la colonizzazione francese. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si dichiarò l’indipendenza a cui seguì un periodo di instabilità. Il Partito panarabo laico Ba ‘Th si impadronì del potere con un golpe militare. L’organizzazione dei Fratelli Mussulmani orchestrò delle insurrezioni armate contro Ba ‘Th, soffocate nel sangue da Hafiz al-Asad, che divenne Presidente della Siria, accentrando a sé il potere, nonostante lo Stato formalmente restasse retto da una Repubblica. Gli Assad, famiglia di estrazione alawita (uno dei gruppi religiosi islamici del Paese), divennero di fatto una dinastia e governarono il Paese ininterrottamente a partire dagli anni ’70. Come visto precedentemente Hafiz al-Asad non ha esitato a ricorrere a modi brutali per imporsi, calpestando senza esitazione i diritti umani. Il governo della dinastia Bashar fu autoritario ma allo stesso tempo diede stabilità al Paese, apportando riforme e permettendo un relativo sviluppo. Nel 2000 Bashar al-Assad, laureato in medicina e specializzato in oftalmologia, successe al padre alla Presidenza della Siria. Il suo mandato fu caratterizzato da un’apertura verso l’Occidente da un lato e da una cauta difesa degli interessi dei Paesi arabi dall’altro. Bashar non abbracciò i modo repressivi e autoritari del padre. Non mancano lati oscuri nell’operato della famiglia Assad: significativo è traffico di droga nel Paese al cui vertice si trova Maher Al Assad, fratello di Bashar, comandante di alto grado esercito siriano.
L’inizio del conflitto in Siria
La guerra cominciò nel 2011 come una rivolta contro il governo autoritario di Assad, con modalità simili alle cosiddette “Primavere Arabe”, le rivolte antigovernative che si erano diffuse in molti Paesi del Nordafrica e del Medio Oriente eterodirette da finanziatori esteri per interessi economici e geopolitici secondo lo schema delle cosiddette “rivoluzioni colorate”. Le ostilità cominciarono ufficialmente il 15 marzo 2011, con le manifestazioni a Damasco e Aleppo contro il regime di Bashar al Assad. A scendere in piazza erano soprattutto giovani siriani, arrabbiati con il governo per via di una povertà inasprita da una presunta carestia con conseguente diminuzione della produzione agricola e aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, che colpì il Paese dal 2006 al 2011. Il Presidente siriano usò il pugno duro per reprimere il dissenso, strumento inusitato per quello che era stato il suo stile di governo fino allora. La situazione presto però dilago e le rivolte presero un’altra piega, sfociando in una guerra civile combattuta dall’esercito di Assad e le milizie di opposizioni, molte delle quali raggruppate nell’Esercito Siriano Libero (ESL). A fornire il maggior sostegno alle Primavere Arabe fu il National Endowment for Democracy (NED), agenzia statunitense con l’obbiettivo dichiarato di promuovere la democrazia all’estero. Nel 2010, quindi l’anno prima l’inizio delle grandi rivolte nordafricane e orientali, vennero finanziate associazioni in Tunisia, Libia, Egitto e Iran. Da sostegni economici occidentali sarebbero nate le suddette primavere arabe e il caos che ne è seguito, gruppi armati più o meno noti compresi.
Chi sono davvero i “ribelli”
Parlare di ribelli senza fare le opportune distinzioni è fuorviante. Siria e Russia controllano spazi aerei quindi è che impossibile possa essere stata portata avanti da ribelli indipendenti e non da gruppi spalleggiati da qualcuno di influente che possa tutelarli. Hayat Tahrir al Sham (HTS) nel 2024 ha lasciato un’offensiva lampo su Aleppo arrivando fino al cuore della Siria, facendo leva sull’indebolimento del regime di Assad, lasciato solo dai suoi alleati. Hezbollah, alleato storico di Assad è stato colpito duramente dai raid israeliani nel Sud e persino a Beirut. Così, fiaccato dalla perdita di numerosi leader, l’apporto alla causa siriana è drasticamente calato. In particolare la Russia, che in precedenza ha offerto un fondamentale appoggio al Paese ricevendo in cambio il controllo de due basi strategiche sul Mar Mediterraneo di Tartus e di Latakia, ha fatto venire meno il suo ruolo in Siria. Il gigante eurasiatico invece è stato occupato dalla guerra in Ucraina, mentre l’Iran è stato scalfito dal perpetuarsi del conflitto con Israele. Assad, la cui posizione pur aveva dato segni di miglioramento, si trovò accerchiato, così gruppi come HTS hanno approfittato della situazione capitalizzando l’instabilità dovuta a rivolte e a un potere centrale quindi in difficoltà, approfittando anche di un sostegno antiregime dato a sorpresa anche da gruppi cristiani. A completare un quadro nebuloso quanto critico vanno aggiunti i territori a Sud occupati militarmente a Israele. A Nord Est c’è il territorio controllato dalle cosiddette Forze Democratiche Siriane, un’alleanza di milizie militari curde e di altre etnie. A trazione curda è anche l’Unità di Protezione Popolare, che amministra la regione semiautonoma del Rojava. Verso Sud in zone desertiche sono ubicati gruppi appartenenti all’Isis. A Nord e Nord-Est dal 2018 due aree sono sotto il controllo diretto della Turchia.
Una proxy war
Similmente alla guerra in Ucraina, il conflitto in Siria può considerarsi un perfetto esempio di proxy war (guerra per procura): un grande potenza usa propria influenza per sostenere fazioni locali, trasformarle in marionette tirando le fila per mezzo dei fondi elargiti, per poi schierarle a piacimento combattere sul territorio interessato. In un siffatto contesto Assad internamente era scivolato in una difficile posizione di isolamento, senza alleati attivi su cui contare. L’opposizione armata è frammentata in gruppi anche molto diversi fra loro e comunque privi di una strategia comune, tanto è bastato però a mettere in ginocchio l’autorità della dinastia alawita. Tra questi c’è Hay’at Tahrir al-Sham, “Organizzazione per la liberazione del Levante” o “Comitato di liberazione del Levante”, che è un gruppo militare islamico sunnita salafita intenzionato a creare uno stato islamico. Migliaia di carcerati sono stati liberati da forze in opposizione: questi individui si sono uniti ai combattimenti per controllare risorse straniere e imporre il proprio dominio in aree in cui le bande armate dettano legge. Alcuni gruppi moderati combattono per una Siria laica e democratica ma la loro presenza è davvero trascurabile. Questi integralisti di al-Sham e di altre fazioni hanno ricevuto armi e munizioni dagli Stati Uniti, tramite l’Arabia Saudita, grazie a “confini porosi”, facilmente attraversabili se si tratta di traffici con in ballo grandi interessi. Parallelamente questo non toglie che la maggioranza dei gruppi anti-Assad è finanziata da potenze regionali come Iraq, Turchia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Tutti questi stati sono motivati dal dominio del blocco sunnita e dalla destabilizzazione dell’Iran sciita. Proprio la a Turchia è uno dei principali finanziatori dei gruppi nel Nord della Siria tra cui l’Esercito Nazionale siriano ENS, mentre è stata annunciata un’operazione per espellere i Curdi dall’area di Aleppo.
Epilogo del Regime di Assad
La longa manus più influente e decisiva dietro a questa situazione resta quella degli Stati Uniti, che considerano Bashar un ostacolo in Medio Oriente: la sua destituzione nell’ottica americana indebolirebbe l’Iran, isolerebbe Hezbollah, l’organizzazione paramilitare libanese ostile all’alleato Israele, e nuocerebbe anche alla posizione della rivale Russia nel Mediterraneo Orientale. La conquista di Damasco da parte delle milizie jihadiste ha fatto definitivamente capitolare il già fragile regime di Assad, il quale è corso a trovare rifugio in Russia. Pertanto si sono subito cominciate a tracciare le direttive della Siria post-Assad. L’organizzazione Tahrir al-Sham ha formato il cosiddetto “Governo per la salvezza siriano” e, su indicazione del leader d Al Jolani, è stato nominato nominato il fedelissimo Muhammad Bashir a capo del governo di transizione. Bashir, provvisto di lauree in ingegneria elettronica e in giurisprudenza ma anche con un passato oscuro alle spalle, ha cercato di mostrare un volto rassicurante. Il nuovo Presidente ha infatti garantito che non sarà imposto il velo, non verranno violate le libertà individuali e che sarà offerta un’amnistia ai soldati dell’esercito governativo siriano, non mostrando quindi nelle prime dichiarazioni tracce del fondamentalismo sunnita a cui era vicino. Tuttavia anche se pochi lo fanno notare il nuovo Presidente è un ex membro di Al Qaida e fondatore del gruppo jihadista Fronte al-Nusra: non bastano i nuovi abiti in borghese sfoggiati pubblicamente per dimenticare questo dettaglio. L’ambasciatore locale all’ONU ha dichiarato che saranno riuniti gli sforzi per ricostruire il Paese. La realtà però è diversa: i ribelli annunciano la pubblicazione di una lista di ex funzionari ricercati per torture, confermati da video shock dove si mostrano cruente esecuzioni sommarie contro esponenti del regime caduto. Lo stesso Al Jolani ha dichiarato che sarebbero state assegnate ricompense a chi fornisca informazioni utili a rintracciarli, aggiungendo che sarebbero state richiesti l’estradizione e il rimpatrio nel caso siano fuggiti all’estero.
Si è spesso parlato del pericolo terrorismo ma stavolta nessuno salta dalla sedia visti i trascorsi di questo personaggio camaleontico. Come in altri casi i media dimostrano di avere due pesi e due misure per demonizzare o normalizzare personaggi proveniente da gruppi che in passato sono stati ripetutamente associati a dei crimini. Evidentemente questo accade o non accade sulla base degli interessi e degli obbiettivi dei grandi gruppi di influenza che muovono le fila di queste situazioni. Tuttavia la deposizione del vecchio regime non segna automaticamente la fine delle ostilità, viste le numerose forze in atto in una situazione di incertezza e instabilità. Assad non è stato uno stinco di santo ma un leader fatto cadere non certo per far trionfare la democrazia, come ha ripetuto la propaganda atlantista per giustificare tante guerre precedenti, ma per assecondare certi interessi di parte che potrebbero essere indirettamente quegli degli stessi attori occidentali che hanno preso di mira l’area per le sue note risorse naturali. Ma tali eventi vanno letti considerando più piani e, come già visto, a queste dinamiche si sommano quelle esercitate dalle potenze regionali del Vicino e Medio Oriente che giocano anch’esse un ruolo nel Paese. Per la Siria i tempi difficili non sono finiti.
Una nuova bandiera
Se la fine del vecchio corso è stata simboleggiata dall’abbattimento delle Statue della famiglia di Assad dando anche alcuni cartelloni celebrativi alle fiamme, quello nuovo viene espresso anche nel rinnovamento simbolo per eccellenza di una nazione: la Siria ha una nuova bandiera.
Il precedente vessillo era diviso in tre fasce orizzontali. Il rosso indicava il sangue versato nella rivoluzione siriana, il bianco la pace e Il nero simboleggia l’oppressione subita dal popolo arabo durante il periodo coloniale. Il nuovo gruppo al potere ha invece scelto altri colori e simboli per distinguersi dalla governo totalmente spazzato via. Viene infatti ripresa la cosiddetta bandiera “dell’indipendenza”, sventolata durante la lotta indipendentista contro la Francia. Questa in origine era l’insegna ufficiale del Paese, issata per la prima volta ad Aleppo nel 1932 e adottata ufficialmente nel 1936, quando la Siria ottenne la semi-indipendenza dalla Francia. È stata mantenuta nel 1946, quando il Paese ha ottenuto la piena indipendenza dopo la fine del mandato francese. La nuova bandiera ha anche stavolta tre bande orizzontali ma queste, partendo dall’alto min basso, sono di colore verde, bianco e nero con tre stelle posizionate nella striscia centrale: si tratta di un nuovo che però pesca dalla Storia recente del Paese.
Riferimenti
Nova Lectio
https://opinione.it/esteri/2024/12/11/fabio-marco-fabbri-siria-iran-iraq-russia-mezzaluna-sciita-libano-israele-giordania-turchia/
https://www.ilsole24ore.com/art/la-nuova-siria-cambia-bandiera-che-cosa-rappresenta-quella-tre-stelle-scelta-ribelli-AGgiJuhB