La morte di un cittadino italiano sfrattato dall’appartamento perché con il suo stipendio non riusciva a pagare l’affitto mostra il vero volto della società occidentale, che con il buonismo cerca di celare la sua spietatezza, una società classista dove contano solo la speculazione e il profitto.
Marco Magrin era un lavoratore italiano che prestava servizio come operaio in un’impresa di sfilettatura del pesce. È deceduto in seguito allo sfratto dall’abitazione da Treviso dove alloggiava in affitto: il suo stipendio non bastava per sostenere le spese e così ha dovuto trovare riparo all’interno di un garage. L’uomo è morto di infarto e probabilmente il freddo a cui è stato sottoposto ha giocato un ruolo importante nel suo decesso. La sua vicenda in questa società che si vanta di essere aperta e inclusiva dimostra nei fatti essere ipocrita e spietata. Nessun telegiornale nazionale ha riportato una notizia così grave, si grida allo scandalo a comando sulla base delle mode del momento e questo fatto è passato ben più inosservato di quanto ci si potrebbe aspettare. Questa doppia morale si mostra in maniera esemplare e grottesca proprio in questa significativa vicenda, che sicuramente non è certo l’unica di questo genere. Infatti alcune testate hanno riportato il fatto che l’abitazione da cui era stato allontanato l’uomo è di proprietà di un attivista del Centro Sociale Django e dell’associazione Caminantes. “Il Gazzettino di Treviso” ha infatti dichiarato che pochi giorni prima il locatore aveva partecipato a un blitz che aveva bloccato il Consiglio comunale di Treviso per protestare proprio contro gli sfratti e l’emergenza casa in città.
Mentre le istituzioni e i media vogliono dare l’impressione di una società accogliente che vuole includere tutti, con particolare attenzione alle minoranze etniche, razziali, religiose, di orientamento sessuale e che si batte per tutelare l’ambiente in virtù di una visione inclusiva e progressista, questa bada solo al capitale e al potere economico e finanziario. Le mille battaglie superficiali rispetto alle questioni trascurate nei migliori casi spesso si limitano a mera propaganda e nei casi più gravi risultano essere obbiettivi mascherati di rimodellamento della società secondo l’agenda delle élites. Qualsiasi voce dissidente viene delegittimata con delle etichette screditanti mentre la dittatura del politicamente corretto fa leva sulla cancel culture per appiattire la visione della realtà e cercare di traghettare l’opinione pubblica sul solco del pensiero unico. L’Italia si vanta di essere un Paese membro del G8 e nel 1991 è stata la quarta potenza economica mondiale: pur avendo anche allora problemi e squilibri ma anche ricco di straordinarie eccellenze. In seguito agli effetti tardivi del divorzio tra Banca d’Italia e al Ministero del Tesoro, allo smantellamento del prospero apparato industriale pubblico e al passaggio alla moneta unica europea, si è verificato il polverizzarsi del potere d’acquisto dei cittadini. Il declino economico e sociale dell’Italia, seppur particolarmente grave, è simile a quello di molti altri Paesi occidentali civilizzati, che hanno assistito al progressivo allontanarsi della politica dalle esigenze reale del Paese, fino al progressivo venire meno delle finalità della stessa. Esemplificativo è che si è addirittura messa in discussione la funzione solidale della politica stessa, omettendo che una politica non solidale per i membri della sua comunità è semplicemente inutile. L’Italia ha progressivamente visto aumentare il numero di poveri fino a toccare nel 2024 la preoccupante quota di 5,7 milioni di poveri assoluti, cioè persone che faticano a garantire il proprio sostentamento. Si tratta di un esercito di invisibili che non muove a compassione praticamente nessuno. Il paradosso apparente è che questo dato aumenta tra gli operai e diminuisce tra i disoccupati. A riprova che i dati non ben contestualizzati possono essere fuorvianti avallando letture di comodo questo a una più attenta analisi si spiega semplicemente con il fatto che durante l’ultimo anno sia aumentato il numero dei lavoratori.
Si è così andata a formare una fascia di lavoratori poveri, come ci si aspetterebbe dal Terzo Mondo più che dal Primo. Gli operai e le numerose altre classi di lavoratori non adeguatamente retribuite e tutelate soffrono degli stipendi da fame e della drastica diminuzione del potere d’acquisto. Se a questo si aggiunge una tassazione altissima, che peraltro non trova un adeguato riscontro in investimenti nella spesa pubblica per sostenere infrastrutture e servizi pubblici, e la progressiva erosione dei diritti dei lavoratori, spesso vittime di precariato e costretti a dover accettare contratti interinali e part time, il quadro che ne esce è pesantissimo. Questa pressione fiscale insostenibile sfianca anche gli imprenditori, che già devono fare i conti con la concorrenza sleale delle potentissime multinazionali e degli imprenditori stranieri, i quali godono di agevolazioni fiscali che permettono loro di tenere una posizione privilegiata. Inoltre se aumenta drasticamente il numero di lavoratori poveri si consuma e si produce sempre meno, portando a una crisi economica e sociale di larga portata che in realtà ha già mostrato i primi effetti tangibili anche a un osservatore inesperto. Si sta andando a finire in un burrone facendo finta che in fondo tutto continui ad andare tutto sommato bene: i grandi media trattano la situazione solo marginalmente, la politica alla prova dei fatti continua a dimostrarsi connivente del disfacimento del Paese e i sindacati hanno da tempo sostanzialmente abdicato al loro ruolo di garanti dei diritti dei lavoratori. In questo contesto, dove per molti un contratto a tempo indeterminato con un uno stipendio medio appena sufficiente a un tenore di vita dignitoso, la corruzione dilaga e quelli che dovrebbero essere dei diritti inalienabili spesso vengono ridotti a gentili concessioni di cui bisogna mostrarsi meritevoli. Infatti, com’è tristemente noto ma al contempo rinnegato da chi da questo sistema trae vantaggio, in Italia troppo spesso se non si conosce qualcuno non si ha nemmeno l’opportunità di poter ottenere un posto di lavoro e il curriculum del candidato non viene neanche preso in considerazione: in una siffatta situazione di scarsità il clientelismo, già radicato, trova nuova linfa vitale e si rende ancora più capillare.
Le città, che dovrebbero essere improntate alla sostenibilità e all’inclusività rivolta a tutti, diventano dei poli in competizione fra loro per attrarre più flussi di denaro possibile. La tutela dell’ambiente e appunto la sbandierata inclusività sono delle false promesse che spesso vengono disattese nei fatti. Accanto al crescente costo della vita per i problemi già citati si assomma un mercato immobiliare impazzito, che vede crescere i prezzi in modo incontrollato per cui diventa spesso difficilissimo non solo acquistare una casa ma anche solo prendere in affitto una stanza. Si cerca di attrarre i turisti e soprattutto gli investitori mentre i lavoratori, ma anche la classe media dei lavoratori dipendenti e dei piccoli imprenditori e gli studenti si trovano spesso messi all’angolo. Eppure questa narrazione manipolatrice e lontana dalla realtà fa apparire “cool” il fatto che le città diventino ad appannaggio dei più ricchi: si parla di “co-living”, a tal proposito è esemplare il caso delle 24 persone che si sono trovate costrette a condividere l’affitto di un appartamento per dividere l’affitto e poter così sostenere i costi della vita.
Gli effetti di questo aumenti selvaggi si fanno sentire anche in altri aspetti, evidenziando ancora una volta la distanza tra governi e “Paese reale”. I concorsi pubblici in Italia sono una farraginosa corsa a ostacoli dove i titoli di studio conseguiti sembrano non bastare mai e che continuano a spingere gli aspiranti lavoratori verso infiniti corsi di specializzazione. Eppure questi non sempre garantiscono a chi li vince la possibilità poter affrontare il costo della vita: nel Nord Italia, dove in genere il prezzo degli immobili e quindi anche degli affitti è sensibilmente più alto, si assiste alla sensibile diminuzione del numero dei partecipanti e gli stessi vincitori spesso rinunciano perché gli stipendi sono troppo bassi per le spese da sostenere in loco per vivere. In questo contesto quasi nessuno viene messo nelle condizioni di candidarsi a concorsi al Nord in qualità di fuori sede proprio perché poi non potrebbe anche il salato costo dell’affitto. La drammatica situazione italiana, come già sostenuto, non è dissimile da quella di molti altri Paesi “ricchi” ed è sintomatica di una direzione presa non per accidente ma per scelta. Mentre le masse vengono colpevolizzate di non fare abbastanza per accogliere i poveri migranti provenienti dal Terzo Mondo e di inquinare portando avanti uno stile di vita insostenibile per le loro possibilità e per la salute del pianeta, il divario economico tra gli strati della popolazione cresce fino a creare una voragine che fa diventare i pochi veri ricchi ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri e più numerosi. La crisi in atto ricorda quella dell’Unione Sovietica che portò alla sua drammatica dissoluzione. Mentre un’ora di viaggio di un jet privato emette tanta anidride carbonica quanto può produrre una persona in media in tutta la sua vita, si punta il dito contro le masse che possiedono un’automobile utilitaria, un nome di sbandierate politiche “green” che si ammantano di un ecologismo con cui non hanno niente a che spartire per contribuire a creare una società via via più a misura dei ricchi. La regressione economica in atto porta a un malcelato disastro sociale dove le vittime dimenticate come Marco Magrin sono fin troppo numerose. L’antidoto è noto: aumentare i salari, diminuire la pressione fiscale, ripristinare un potere d’acquisto adeguato, dare stabilità ai lavoratori e arginare la speculazione selvaggia dei potentati privati. Il problema non è la reale difficolta ad attuare questa ricetta ma la reale mancanza di volontà di volerlo fare. La finta sostenibilità e la finta sostenibilità sono delle truffe finalizzate a garantire gli interessi e gli obbiettivi dei vincitori di una spietata competizione economico-finanziaria. Comprendere tutto ciò è il primo passo per cambiare questa situazione insostenibile per i cittadini. Ma non basta: bisogna ricucire una società atomizzata e alienata, riacquistare una dimensione di comunità e remare insieme dalla stessa parte.