Pavel Durov, imprenditore informatico e figura chiave di Telegram, è stato arrestato in Francia per via dell’attività della ormai celebre app di messaggistica istantanea alternativa a Whatsapp. Si tratta si un avvertimento da parte di chi vuole imbrigliare internet, medium di massa che si distingue per una libertà che qualcuno vuole sopprimere.
Pavel Durov, il fondatore e CEO dell’applicazione di messaggistica Telegram, è stato arrestato intorno alle ore 20:00 del 24 agosto 2024 in Francia, all’aeroporto di Le Bourget, nei pressi di Parigi. Pavel Durov è un imprenditore informatico dalla una vasta formazione umanistica: dopo aver vissuto a Torino in Italia a seguito del padre accademico latinista, si è laureato in Filologia Moderna all’Università Statale di San Pietroburgo. Profondo conoscitore sia delle culture che delle filosofie occidentali che orientali, si dichiara taoista. Durov ha più volta dichiarato di aver fatto dell’impegno per la salvaguardia della libertà d’espressione una vera e propria missione. Non è appunto un caso che in alcuni incontri pubblici abbia scelto di indossare un completo nero aderente per suggerire l’accostamento della sua figura con quella di Neo, il protagonista della saga cinematografica di Matrix.
«L’Occidente è meno libero oggi di quanto è abituato a essere. Siamo più vicini al 1984 di Orwell di quanto non lo fossimo nel 1984», ha dichiarato il russo citando il celebre romanzo distopico inglese, che tanto predisse l’andamento delle cose. Vicino alla battaglia dell’hacker Edward Snowden, di cui si dichiara sostenitore, Durov, similmente al personaggio interpretato da Keanu Reeves, ha dichiarato di aver scelto di battersi con le sue armi per un mondo libero da un controllo tecnologico centralizzato.
L’emittente francese TF1, ha dichiarato che l’imprenditore era arrivato dall’Azerbaigian con un jet privato. L’arresto è stato eseguito dagli uomini della GTA (Gendarmeria dei Trasporti Aerei francesi) applicando un mandato di perquisizione valevole sul solo territorio francese. Secondo quanto recita il provvedimento Durov e Telegram sarebbero complici di reati molto gravi quali traffico di droga, terrorismo, crimini pedopornografici e e qualsiasi frode avvenuta sull’applicazione. Il motivo andrebbe cercato nella mancanza di cooperazione con le forze dell’ordine e nell’assenza di moderazione e alla conseguente mancanza di rimozione di canali che svolgevano attività illecite. Tf1 sostiene che l’arresto è stato frutto di un’operazione congiunta tra le autorità francesi e le agenzie internazionali, che hanno monitorato i suoi movimenti per settimane. Nel fermo del russo sono stati sequestrati anche materiale informatico e documenti. Nel 2013, Durov si scontrò con il Cremlino per aver rifiutato di fornire al Servizio di Sicurezza Federale russo (FSB) i dati sugli utenti ucraini registrati su VKonkakte (il cui nome in russo significa “in contatto”), omologo di facebook nei Paesi dell’Ex URSS che avevano partecipato a manifestazioni contro Viktor Yanukovych, l’allora Presidente dell’Ucraina appartenente alla corrente filorussa. VK è un social network fondato dall’imprenditore russo e che è particolarmente popolare tra i Paesi dell’ex Unione Sovietica. «Mi sono rifiutato di soddisfare queste richieste, perché avrebbe significato un tradimento dei nostri utenti ucraini. Dopodiché, sono stato licenziato dalla società che io stesso ho fondato e sono stato costretto a lasciare la Russia», dichiarò Durov in un messaggio pubblico. Per la precisione Durov decise di dimettersi dall’azienda di cui era fondatore e amministratore delegato nel 2014 per via di frizioni con dei collaboratori che invece erano vicini all’amministrazione di Vladimir Putin. I problemi con il Governo russo non finirono lì: nel 2018 esso cercò di bloccare Telegram, in seguito al rifiuto di Durov di consegnare le chiavi di crittografia all’intelligence russa. Il blocco si rivelò fallimentare e nel 2020 le autorità russe rinunciarono a portare avanti l’operazione. Per evitare nuovi contrasti con il Cremlino Durov decise di spostare la sede di Telegram a Dubai, capitale degli Emirati Arabi Uniti. L’app ha saputo nel tempo ritagliarsi la sua fetta di utenti e scrollarsi di dosso la soffocante ombra della più nota app di messaggistica Whattaspp. La piattaforma si è fatta apprezzare anche per la possibilità di aprire dei canali con cui condividere dei contenuti, dando la possibilità agli utenti di scambiare informazioni non filtrate dai Paesi occidentali sui più variegati argomenti, inclusa quindi la spinosa questione della guerra in Ucraina. Se accusare Telegram di favorire crimini non è dissimile dall’accusare anche i cellulari, o qualsiasi altro mezzo tecnologico utilizzato in modo irregolare e fraudolento, la chiave della persecuzione verso questa app di messaggistica istantanea sta altrove. È proprio questa assenza di censura delle informazioni costituisce il motivo per cui Telegram viene osteggiato. Questo infatti cozza con il Digital Services Act, norma dell’Unione Europea entrata in vigore del 2022 che mira a limitare e controllare i contenuti dei servizi digitali, di fatto legittimando operazioni di censura di informazioni. La disposizione pone un pesante freno alla libera comunicazione in rete al punto da venir criticata dagli ambienti della controinformazione e dell’attivismo libertario, ma anche dal Garante per la privacy italiano, asserendo che «il regolamento sembrerebbe intenzionato a riconoscere – come, peraltro, ormai avviene diffusamente – ai gestori delle piattaforme il diritto-dovere di decidere in autonomia e sulla base semplicemente delle proprie condizioni generali quale contenuto lasciare online e quale rimuovere e quale utente lasciar libero di pubblicare e quale condannare all’ostracismo digitale». L’alibi specifico per sferrare l’attacco a Telegram è quindi l’assenza di sanzioni e controlli sui contenuti del portale, favorendo, a detta dei detrattori, la diffusione non solo di operazioni criminali ma anche di incitazioni all’odio e delle cosiddette fake news. Non è mancato infatti un richiamo da parte dell’ente sovranazionale europeo, asserendo che l’app di comunicazione immediata potrebbe aver violato la suddetta disposizione.
Il portavoce della Commissione Europea Thomas Reigner ha fatto allusione al fatto che Telegram presto potrebbe essere soggetta agli obblighi previsti per le piattaforme con un numero elevato di utenti. Il Financial Times è andato nel dettaglio sostenendo che l’ultima dichiarazione fornita da Telegram comprendeva 41 milioni di utenti tra i cittadini dell’Unione Europea, conteggio che sarebbe avvenuto in modo fin troppo impreciso e approssimativo in quanto Telegram avrebbe sommariamente dichiarato di contare meno di 45 milioni di utilizzatori tra i Paesi dell’Unione. Ciò porterebbe appunto a una violazione del Digital Services Act, in quanto all’UE si ritiene che il numero sia stato nettamente sottostimato. «Abbiamo un modo per determinare, attraverso i nostri sistemi e calcoli, quanto siano accurati i dati degli utenti. E se pensiamo che non abbiano fornito dati accurati sugli utenti, possiamo designarli unilateralmente (come una piattaforma molto grande) sulla base della nostra indagine», ha dichiarato Thomas Regnier. La macchina inquisitoria è partita in seguito all’arresto di Pavel Durov, indagato per ben 12 capi d’accusa. Il miliardario è stato rilasciato su salata cauzione e l’esperienza lo ha portato a più miti consigli. Dei sensibili cambiamenti sono già stati apportati: è stata introdotta la possibilità di segnalare contenuti ritenuti illegali o inappropriati. Inoltre la rivista online The Verge aveva già osservato come nel sito aziendale di Telegram è stato apportata una novità significativa nella sezione delle domande frequenti (FAQ, Frequently Asked Questions), dove è stata sottolineata la possibilità di segnalare i contenuti reputati inadeguati. Il programma d’altra parte resta sostanzialmente immutato: la convinzione diffusa che l’app sia sempre e comunque criptata è sempre stata errata, infatti, solamente le “chat segrete” vantano una forma di tutela end-to-end, utilizzabili grazie a un’opzione non nota alla maggior parte degli utenti.
Parallelamente Chris Pavlovski, CEO di Rumble, piattaforma di video in streaming, ha annunciato la volontà di far lasciare il mercato europeo al sito che sta facendo concorrenza a YouTube. L’imprenditore canadese di origine macedone ha ricevuto l’appoggio di Elon Munsk, che ha acquistato Twitter ribattezzandolo X con l’obbiettivo dichiarato di metterlo in salvo dalle tenaglie della censura “liberal”, che ha tanto a cuore una propaganda orientata alla cancel culture. Dopo aver citato diversi Paesi in cui Rumble è censurato o minacciato, come Cina, Francia, Brasile, Regno Unito, Russia, Nuova Zelanda, Pavlosky ha parlato della libertà di parola che “è sotto attacco e non smetterò di lottare per essa”. Il riferimento alla disavventura intercorsa a Pavel Durov è palese. Il “giocattolino” internet da quando è stato concesso alle masse ha quasi immediatamente costituito un attore importantissimo a livello politico e sociale: se da un lato ha contribuito a controllare e distrarre i popoli della parte industrializzata del mondo, dall’altro ha creato un ronzio di informazioni non allineate che è cresciuto fino a cominciare a infastidire coloro che spingono per l’imposizione del cosiddetto “pensiero unico”. L’aggressione alla libertà d’espressione su internet prosegue ma pare che questa possa contare su eccellenti difensori.
Riferimenti
Digital Services Act, assedio dell’Unione Europea alla libertà di internet