Passione etrusca: una civiltà da riscoprire

Passione etrusca: una civiltà da riscoprire

Nessun popolo come gli Etruschi ha suscitato un dibattito tanto acceso e divisivo, alimentando perplessità e dando adito alle teorie più disparate. Quello sull’antico popolo tirrenico è infatti uno degli argomenti storici che più ha generato interpretazioni e teorie. Gli Etruschi  non solo hanno provocato disquisizioni concettuali ma soprattutto continuano ad attrarre e far sognare a occhi aperti persone di tutto il mondo.

Chi erano gli Etruschi?

Si tratta di una popolazione vissuta nell’Italia centro-occidentale tra il IX e il I secolo avanti Cristo essenzialmente tra il Mar Tirreno a Ovest, il fiume Arno a Nord, gli Appennini a Est e il fiume Tevere a Sud, che chiamava se stessa “Rasna” o “Rasenna”. Gli Etruschi erano organizzati in città-stato rette da un lucumone, che esercitava la massima autorità politica.

Etruschi nellItalia Preromana

Queste istituzioni avrebbero vissuto sia fasi politiche monarchiche che periodi caratterizzati dalla presenza di una repubblica oligarchica, similmente a quanto accadde a Roma. Pur tenendo molto a difendere la propria indipendenza politica, le città etrusche avevano la consapevolezza di una comune appartenenza etnica. Ogni primavera i rappresentanti politici della Dodecapoli, le dodici città più importanti dell’Etruria, si riunivano in un sito sacro di non sicura identificazione chiamato Fanum Voltumnae (dal Latino “Santuario di Voltumna”), dedicato al dio supremo del pantheon etrusco. Molti studiosi comunque identificano la sua ubicazione nel territorio di Orvieto in provincia di Terni nel Sud dell’Umbria. Nel concilio si discuteva di decisioni comuni di politica estera inerenti a diplomazia, commerci e affari militari. L’evento viene citato dallo scrittore romano Tito Livio nel suo Ab Urbe Condita, scritto tra il 27 aC e il 14 dC, dove si afferma che nei giorni di riunione si tenevano anche celebrazioni di tipo religioso. Gli Etruschi infatti adoravano delle divinità spesso paragonabili a quelle greche e romane ma che avevano delle loro specificità. Molto di quello che si conosce di loro si evince dalle incisioni a tema mitologico presenti negli specchi. Dopo esser stati sconfitti da Roma durante varie guerre nel corso del suo periodo repubblicano, la quale acquisì a più riprese tutti i loro territori, gli Etruschi vennero gradualmente assimilati e latinizzati. Si ipotizza che la tipica gorgia toscana sia una traccia del substrato linguistico etrusco. Certo invece che alcune importanti parole etrusche sono giunte all’Italiano per mezzo del Latino. I manufatti etruschi, opera di abili artigiani, erano solitamente in bronzo e in terracotta, mentre caratteristico della produzione etrusca è il bucchero, tipo di ceramica nera e lucida utilizzata soprattutto per la produzione di vasi. Proverbiale la quantità di reperti archeologici inerenti a elementi funerari, mentre non è pervenuta a noi nessuna testimonianza di una tradizione letteraria, per questo assume particolare importanza quanto scrissero sugli Etruschi i contemporanei Greci e Latini, ovviamente esprimendo il loro punto  di vista. Non sono quindi molti i personaggi storici conosciuti. Gli ultimi tre re di Roma, la cui esistenza però non è totalmente certa essendo la fase regia coperta dalle nebbie del mito, Lucio Tarquinio Prisco Servio Tullio e Tarquinio il Superbo erano notoriamente etruschi e vissero nel periodo in cui Tarquinia controllava Roma. Per l’ascesa della città dell’attuale Maremma Laziale esercitò un ruolo importante Aule Spurina (Aulus Spurinna in latino): nella sua iscrizione funeraria si dice che fu pretore tre volte, detronizzò un certo Orgolnio che governava su Caere (situata sul territorio l’odierna Cerveteri in provincia di Roma), stroncò una rivolta dei servi ad Arezzo, pare inoltre che conquistò nove borghi latini e ebbe a che fare con i Falisci. Un altro personaggio la cui esistenza è documentata è Thefarie Velianas, lucumone di Caere,  che visse nel VI secolo aC. Unico artista etrusco noto invece è Vulca, che nacque a Veio nel VI secolo aC e viene considerato uno dei massimi esponenti della coroplastica, la lavorazione della terracotta. La sua opera più nota è il bellissimo Apollo di Veio, emblema della Civiltà Etrusca.

Il celebre Apollo di veio con il tipico sorriso etrusco
Il celebre Apollo di Veio, opera dell’artista Vulca

Questa è un fenomeno culturale inserito in quello delle antiche civiltà europee e del bacino del Mar Mediterraneo, per cui l’influenza della cultura greca è inevitabile. Spesso si parla di “medicina etrusca” o di altri aspetti del “saper fare” come tipicamente etruschi, invece vanno considerati all’interno di una tradizione comune condivisa da popoli che entravano reciprocamente in contatto. Se nell’immaginario collettivo gli Etruschi sono quelli “con gli occhi a mandorla che hanno il sorriso beffardo”, questo stereotipo in realtà riguarda soltanto lo stile di una specifica fase storica orientalizzante della loro arte scultorea, come l’Apollo di Veio di cui si parla sopra.  Nemmeno gli affreschi  avevano intenti realistici ma simbolici: per esempio l’utilizzo dell’ocra per la carnagione degli uomini e di un colorito più chiaro per le donne era una scelta prestabilita.

Danzatore e danzatrice alla Tomba delle Leonesse alla Necropoli di Monterozzi
Danzatore e danzatrice alla Tomba delle Leonesse alla Necropoli di Monterozzi

La successiva fase ritrattistica, che può dare l’idea di quali potevano essere i volti di alcune delle persone che vivevano all’epoca, è riscontrabile in busti scultorei che anticipano una tipica produzione statuaria che poi avrebbe trovato successo a Roma.

Testa di giovinetto di Fiesole dal Museo Etrusco di Bologna
Testa di giovinezza da Fiesole, 330 aC circa, esposto al Museo Archeologico Etrusco di Bologna
Busto di uomo etrusco
Busto di uomo etrusco

 

Il debito di Roma

Gli Etruschi al periodo del loro apice hanno controllato un’area relativamente vasta che andava orientativamente dal fiume Po a Nord alla Campania settentrionale costiera a Sud. La tradizione mitica identifica come etruschi gli ultimi tre dei sette leggendari re di Roma, città che effettivamente è stata sotto il dominio della potente Tarquinia. Buona parte degli ordinamenti civili, giudici e religiosi di quella che successivamente sarebbe chiamata la Città Eterna derivano da quelli etruschi. La toga, il fascio littorio, i giochi gladiatori sarebbero elementi tipici della cultura romana di derivazione etrusca. Il rito di fondazione della città che prevede la tracciatura dei confini con l’aratro, descritto nella fondazione mitica di Romolo, appartiene alla tradizione etrusca. Addirittura la celebre statua della Lupa Capitolina pare essere una copia di un manufatto originale etrusco andato perduto. Comunque, secondo la datazione al radiocarbonio compiuta dai ricercatori dell’Università del Salento, la scultura in bronzo conservata ai Musei Capitolini di Roma sarebbe stata realizzata nel Medioevo, tra il XI e il XII secolo.

Lupa Capitolina
Lupa capitolina, simbolo di Roma di probabile origine etrusca

 

Come già visto alcune parole etrusche hanno dato origine a termini fondamentali del vocabolario latino. Per esempio il latino persona, rimasto uguale in Italiano, discende dall’Etrusco persu, che significa “maschera”. Inoltre il nome proprio Marius, da cui ovviamente l’italiano Mario, deriva dal termine Maru, che indicava la carica di alto magistrato. L’arte divinatoria praticata a Roma con cui si cercava di interpretare la volontà degli dei attraverso l’esame delle viscere di animali sacrificati (l’aruspicina) e osservando il volo degli uccelli  (l’augurio o auspicio) era ispirata alla tradizione di questo popolo, la cosiddetta Disciplina Etrusca, tanto che ancora nella fase tarda dell’Impero Romano c’erano sacerdoti che praticavano i riti divinatori utilizzando formule in lingua etrusca.

La lingua Etrusca

È opinione dura a morire diffusa tra i non addetti ai lavori che l’Etrusco sia non solo una lingua oscura e incomprensibile ma a volte addirittura che la sua lettura sia tuttora difficoltosa. Nonostante il fatto che la stragrande maggioranza delle testimonianze circa l’utilizzo dell’Etrusco consista in brevi iscrizioni funerarie, questa fantomatica fitta coltre di mistero non esiste: il significato complessivo dei testi è facilmente intuibile per gli esperti e si conosce ormai buona parte del vocabolario.

Altro dettaglio della Tomba delle Leonesse
Altro dettaglio della Tomba delle Leonesse

La scrittura, di derivazione greca, viene letta senza difficoltà già dal XVIII secolo mentre il rinvenimento delle Lamine di Pyrgi, avvenuto nel 1964 nei pressi di Santa Severa, frazione del Comune di Santa Marinella in provincia di Roma, ha portato a un decisivo passo in avanti nella comprensione dell’idioma tirrenico. Si tratta di tre lamine d’oro databili attorno al 500 aC con un testo in Fenicio e due in Etrusco: non è propriamente un testo bilingue ma esso ha comunque permesso un’efficace comparazione.

Lamine di Pyrgi
Lamine di Pyrgi

Nell’iscrizione si parla della consacrazione alla dea Uni, paragonata alla greca Era e alla romana Giunone e qui assimilata alla fenicia Astarte, di un tempio votivo da parte di Thefarie Velianas, che, come già visto, fu lucumone di Caere e il più antico alto magistrato etrusco la cui esistenza è comprovata. L’importanza del ritrovamento per la comprensione dell’Etrusco è tale che  viene spesso paragonato a quello della Stele di Rosetta per i geroglifici egizi.

Statua della dea Uni
Statua della dea Uni

Iscrizioni in Etrusco o in un idioma fortemente imparentato vennero trovate sull’Isola di Lemno In Grecia, con il rinvenimento tra il 1883 e il 1885 della Stele di Kaminia. Questo ritrovamento è stato interpretato come un elemento a favore della tesi dell’origine orientale, anche se è possibile che si tratti di un segno lasciato dagli stessi Etruschi, che avrebbero potuto aver colonizzato l’isola o quantomeno soggiornato in essa seguendo rotte commerciali. Una lingua con cui sono state trovate affinità etrusche è il Retico, sostrato preromano del Ladino, parlato in un’area delle valli alpine tra Trentino-Alto Adige e Veneto, e del Reto-Romancio, lingua neolatina parlata in una piccola parte della Svizzera. I Reti erano un’esigua popolazione situata in un’area dell’arco alpino che oggi comprende la provincia tedescofona di Bolzano e che  precedentemente poteva aver incluso una sezione più vasta. Forse i Reti rappresentavano una propaggine dell’espansione Etrusca in un territorio altrimenti celtico, oppure rimanda a una comune esperienza degli antenati dei popoli dell’Europa Centrale e di buona parte della Penisola Italiana nella comune cultura dei Campi delle Urne, risalente all’Età del Bronzo. Essa era caratterizzata dal rito funerario della cremazione, ricorrendo all’usanza di depositare le ceneri del defunto in urne cinerarie che venivano sepolte. La Cultura Villanoviana, che rientra nel novero di quella della sopracitata “civiltà” mitteleuropea, è considerata antesignana della Civiltà Etrusca. Questa facies preistorica prende il nome da Villanova, frazione del comune di Castenaso in provincia di Bologna dove, fra il 1853 e il 1855, Giovanni Gozzadini ritrovò i resti di una necropoli. Nella stessa direzione va lo stile delle armature e dell’abbigliamento militare in voga presso gli Etruschi, che si rifà a quello utilizzato all’epoca proprio nell’Europa Centrale.

La questione etrusca

La relativa diversità che caratterizza la lingua etrusca nei confronti degli idiomi parlati nelle aree circostanti ha fatto partire un lungo e fumoso dibattito sulle origini di questo popolo. La stragrande maggioranza delle lingue europee attualmente in Europa (fanno eccezione solo il Finlandese e l’Estone, reciprocamente affini e  imparentati con idiomi Uralici parlati localmente in Russia, l’Ungherese, giunto sul territorio di quella che fu la Pannonia nel Medioevo con l’arrivo dei Magiari  e il Turco, arrivato in Anatolia con gli Ottomani addirittura alla soglia della Modernità), oltre che in Asia Occidentale e Meridionale nei casi specifici del Persiano e dell’Hindi (quest’ultimo derivato dal Sanscrito, in cui vennero scritti alcuni dei più antichi poemi pervenuti) viene inserita nella macrofamiglia indoeuropea, il cui nome deriva dal fatto che i relativi idiomi vengono parlati nei territori compresi tra l’Europa e l’Indo. L’Etrusco non viene considerato dalla maggior parte dei linguisti come parte di questo vasto gruppo, creando sorpresa e sgomento tra gli studiosi. Tre sono le principali teorie a lungo al centro della discussione: la tesi settentrionale, secondo cui sarebbero discesi da Nord attraversando le Alpi, quella autoctona, che li vede originari delle loro sedi storiche, e quella orientale, a lungo particolarmente in voga. In particolare quest’ultima fa riferimento alle Storie del greco Erodoto, secondo cui i Lidi, popolo della costa occidentale dell’Anatolia, sarebbero sbarcati in quella terra che sarebbe poi stata chiamata Etruria. Essi, per far fronte a una dura carestia, si sarebbero divisi: nella narrazione si racconta che il Re Ates stabilì che una parte avrebbe potuto restare sul suolo natìo mentre un’altra, guidata da suo figlio Tirreno, avrebbe dovuto imbarcarsi in cerca di fortuna verso Occidente. Il principe eponimo diede quindi il nome al mare e e alle genti che lo seguirono, dato che il Etruschi in greco antico vengono chiamati “Tirrenoi”. Non mancarono teorie moderne che vedono parentele tra l’Etrusco e le lingue caucasiche o addirittura con quelle ugro-finniche. Alcuni ritengono la civiltà “fossile” dell’Europa Paleolitica, azzardando una connessione con un altro popolo che ha fatto sbizzarire i ricercatori: i Baschi nella Spagna pirenaica. Un’altra li vede invece un residuo delle presunte società matriarcali del Neolitico, così si vedrà più avanti nella trattazione. Tra tutte le congetture quella anatolica è stata a lungo la più popolare. Sicuramente salta all’occhio l’influenza che l’arte egea ha avuto su quella etrusca, in modo particolare nel suo periodo arcaico, caratterizzato, come già visto, dai volti ritratti con occhi “a mandorla” e da quello che è diventato il tipico “sorriso etrusco”, per la verità riscontrabile già nella prima fase della produzione artistica greca, che forse nel Rinascimento ispirò Leonardo Da Vinci nel dipingere La Gioconda, uno dei quadri più famosi al mondo.

Bronzo etrusco dal tipico volto orientaleggiante
Bronzo etrusco dal tipico volto orientaleggiante con il cosiddetto “sorriso etrusco”

Accanto alla ricerca di reperti archeologici e testimonianze documentali, il progresso degli studi sulla biologia molecolare ha permesso di utilizzare la comparazione del DNA come ulteriore strada per ricercare indizi. Un’analisi genetica ha corroborato questa tesi sostenendo che i buoi di razza chianina, quelli della celebre qualità di carne toscana, sarebbero stati originariamente importati da quella che è l’attuale Turchia.

Esemplare di bivino di razza chianina
Bovino di razza Chianina, tipo di origine anatolica

L’opera The history and geography of human genes dei ricercatori italiani Luca Cavalli-Sforza e Alberto Piazza, pubblicata nel 1994 dalla prestigiosa Università di Princeton negli Stati Uniti d’America, fu una pietra miliare dell’utilizzo della comparazione genetica per comprendere l’origine delle popolazioni, venendo considerata a lungo un capisaldo praticamente indiscutibile. In questo contesto un anno prima Alberto Piazza svolse una ricerca in alcune località italiane per stilare una mappatura delle diversità genetiche all’interno della Penisola. Il risultato fu l’individuazione di tre aree: il Nord, caratterizzato dall’eredità dei Celti e dei Liguri, il Centro  popolato dai discendenti degli Etruschi e il Sud di matrice greca. Murlo, piccolo comune in provincia di Siena, venne scelto come campione per soppesare l’eredità etrusca: confrontando 34 marcatori genetici e raccogliendo materiale biologico delle persone locali si arrivò alla conclusione che il legame tra Etruschi e Anatolici, vagheggiato dalla leggenda narrata da Erodoto, aveva una base riscontrabile di verità. The Origin and Legacy of the Etruscans, uno studio più accurato condotto tra 2019 e 2021 i cui risultati definitivi, confermati da ricerche simili, sono stati pubblicati nel 2023. L’indagine, stilata dal Max Plack Institute, dalle Università di Tubinga e Jena in Germania e dall’Università di Firenze in Italia, cambia nettamente il quadro complessivo. Gli Etruschi sarebbero invece affini ai vicini popoli Italici al punto da essere indistinguibili da loro, mentre la componente genetica nell’attuale popolazione italiana che porta al Mediterraneo Orientale sarebbe ascrivibile a una fase storica più recente, in particolare a quando nel tardo Impero Romano arrivarono numerosi immigrati, spesso giunti in qualità di schiavi, dalla Siria e dalla Palestina. Sta di fatto che, per quanto un quadro esaustivo delle civiltà antiche non esista, quello del “mistero etrusco” è un mito ormai da considerare privo di fondamento. Massimo Pallottino, che diresse la campagna di scavi da cui emersero le lamine di Pyrgi e che occupò la prima cattedra di un corso universitario dedicato al popolo del Centro Italia, con il suo saggio Etruscologia portò molta chiarezza.

L'etruscologo Massimo Pallottino
L’etruscologo Massimo Pallottino

Il libro, specchio della sua carriera di studioso e archeologo, vide la luce per la prima volta negli anni ’40 del XX secolo per poi essere ampliato in ben sette edizioni, la cui ultima venne pubblicata nel 1984. Il saggio smonta tante false credenze che però hanno continuato a circolare successivamente, anche in testi scolastici. In un passo lo studioso promuove il concetto di formazione dei popoli, asserendo che spesso non ha senso chiedersi da dove provenga un popolo, sostenendo che bisognerebbe piuttosto cercare di ricostruire il suo processo di formazione: tale approccio considera che in molti casi questo può essere il frutto dell’incontro e della commistione, con apporti di grado diverso, di più entità che per le più svariate ragioni sarebbero entrate in contatto tra loro in uno specifico territorio.

 

Presunta contrapposizione tra Etruschi e Romani

Gli Etruschi nelle fonti greche venivano criticati per la libertà che presso la loro società era concessa alla donna, che poteva avere una vita pubblica indipendente e sedere ai banchetti accanto agli uomini. L’imperatore Claudio scrisse un saggio sugli Etruschi che però andò perduto. Gli Etruschi dal XIX secolo vennero visti come portatori di una vitalità istintuale e genuina, considerati un ultimo residuo delle società che alcuni studiosi ritengono potessero esser state matriarcali nel Neolitico, come testimonierebbero le eccessivamente giunoniche statuette femminili di epoca in realtà ancora più remota, che agli occhi dei moderni appaiono come figure di donne grasse, che rappresentavano la fertilità femminile paragonata presumibilmente a quella dei campi coltivati capaci di garantire la sopravvivenza. Famosi tra gli appassionati sono gli studi extraccademici di Giovanni Feo, che vedeva negli Etruschi gli eredi delle civiltà del Mediterraneo occidentale dedite al culto della “Grande Madre”. Si tratterebbe di un periodo idilliaco senza guerre e spargimenti di sangue, il cui ricordo avrebbe trovato un’eco nel mito dell’Età dell’Oro. Si ha avuto una curiosa contrapposizione ideologica, chiaramente sballata nei presupposti, con gli Etruschi che piacciono a chi si riconosce nei partiti di sinistra e i Romani che vengono preferiti  da chi si vede più a destra. Si tratta di una visione che ebbe particolare credito durante il Fascismo, che si ispirava ai fasti del’Antica Roma, ma che proseguì anche successivamente. I primi goderecci, lascivi, corrotti e orientali, i secondi disciplinati, di grande tempra morale e ariani. Per molto tempo si tramandò l’idea di una contrapposizione violenta tra Etruschi e Romani, dopo che questi ultimi avevano conquistato la totalità dei loro territori. I vincitori avrebbero voluto cancellare una civiltà che avrebbe potuto essere destabilizzante per il potere del loro Stato, addirittura si è parlato di sterminio sistematico similmente a quello che compirono gli Inglesi a discapito dei Nativi Americani. In questa visione gli Etruschi sarebbero stati quasi degli hippies e dei femministi ante litteram.  Tutto falsissimo, chiaramente. Nella società etrusca la donna godeva di una condizione simile a quella maschile ma appare improprio parlare di matriarcato etrusco. I Romani riconoscevano il debito nei confronti della civiltà tirrenica e non era loro interesse annichilire le culture dei popoli conquistati. Non mancarono personaggi di chiara ascendenza etrusca che si fecero largo nella società romana, come Mecenate, consigliere dell’imperatore Ottaviano Augusto, e il poeta Virgilio, autore dell’Eneide, opera concepita e scritta su richiesta dello stesso Augusto per diventare il poema nazionale romano.

Sarcofago degli Sposi
Uomo accanto alla donna nel Sarcofago degli Sposi

Etruschi:  perché sono importanti e affascinano

Gli Etruschi hanno dato vita a una civiltà sorta come fenomeno originale sul territorio italiano e, pur non avendo avuto un’influenza culturale e politica massicciamente internazionale come i Greci e i Romani, hanno avuto un peso storico che travalica la Penisola. Non è molto noto ma costituirono insediamenti all’estero, anche se in zone limitrofe: in Francia presso la Corsica e in Spagna sulla costa della Catalogna. L’ingente quantità di reperti archeologici di tipo soprattutto funerario nel corso del XX secolo portò alla comparsa dei tombaroli, i “predatori di tombe” che effettuavano scavi archeologici clandestini per poi rivendere illegalmente la loro refurtiva, potendo così arricchirsi. Si ebbe così tra gli anni ’50 e ’60 una febbrile ricerca di siti da depredare paragonabile alla Corsa all’Oro del Klondike in Canada avvenuta tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900.  La notevole esperienza sul campo da questi maturata obbligò le istituzioni a scendere a patti con i tombaroli perché la loro abilità faceva comodo: non di rado infatti gli archeologi accademici avevano molto da imparare. Personaggi come i tarquinesi  Luigi Perticarari, noto come “Il Mago degli Etruschi”, e Omero Bordo, che amava farsi chiamare “L’Ultimo degli Etruschi”, convertitosi successivamente da tombarolo a abilissimo artigiano capace di imitarne alla perfezione i manufatti, dimostrarono di avere una sorprendente sensibilità e riverenza nei confronti del popolo loro antenato, unendo a una concretezza spiccia un’intuizione apparentemente irrazionale e “metafisica”, quasi come se avessero veramente  un filo diretto spirituale con gli Antichi.

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Omero Bordo, l’Ultimo degli- Etruschi, all’opera

Le vicende dei tombaroli sono apparse per la prima volta al cinema nel film La Chimera, dramma girato nel 2023 dalla regista Alice Rohrwacher, cresciuta a Castelgiorgio in provincia di Terni e che frequenta abitualmente la Tuscia: la cineasta conosce quindi bene il territorio dove vissero gli Etruschi e in cui secoli dopo agirono questi avventurieri dell’archeologia: uomini rudi ma non privi di passione e romanticismo, che appartenevano a un’epoca che non c’è più.

Locandina del film La Chimera
Locandina del film La Chimera

Precedente cinematografico che riguarda il popolo tirrenico fu L’Etrusco Uccide Ancora, lungometraggio a tinte thriller diretto da Armando Crispino nel 1972, che costituisce l’apripista del filone del giallo archeologico all’italiana.

Locandina del film L'Etrusco uccide ancora
Locandina del film L’Etrusco uccide ancora

Gli Etruschi furono abili mercanti e contesero alla siciliota Siracusa il dominio delle rotte sul Mar Tirreno. Incontrastata fu invece la loro attività commerciale verso il Centro e il Nord Europa. Pare proprio che dai loro scambi con le popolazioni germaniche ebbero origine le rune, derivate quindi dall’alfabeto etrusco. Per quanto riguarda il fatto che una civiltà così considerevole non abbia lasciato una documentazione della propria attività letteraria, è plausibile ipotizzare che gli amanuensi cristiani, che tramandarono molti testi della Classicità, possano aver preferito far disperdere le tracce di una tradizione che mal poteva amalgamarsi con il Cristianesimo. Moltissimi musei in tutto l’Occidente hanno una sezione dedicata a questo popolo, che forse, nei Paesi privi di un’articolata Storia Antica, viene visto come una sorta di comune antenato culturale. A tal proposito è impossibile non menzionare il contributo del Re di Svezia Gustavo VI Adolfo, che finanziò e prese parte finché visse, in quanto grande appassionato di Archeologia, agli scavi etruschi che ebbero luogo nella Tuscia Viterbese dal 1957 al 1978, riportando alla luce importanti siti archeologici come quello di Acquarossa e Luni sul Mignone.

Il Re archeologo-Gustavo VI durante gli scavi
Il Re archeologo Gustavo VI durante gli scavi

In Italia gli Etruschi invece, pur essendo oggetto delle discettazioni di snob salotti intellettuali, non ricevono le dovute attenzioni quando c’è da salvaguardare il loro retaggio. Spesso infatti i siti archeologici etruschi non ricevono la cura che meriterebbero, mentre alcuni musei prendono polvere finendo quasi dimenticati. Il dibattito su questa etnia dell’Italia preromana resta comunque vivo e la rivista scientifica più importante specializzata sull’argomento è Studi Etruschi, pubblicata annualmente dall’Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici con sede a Firenze. Dal 1994 è attiva negli Stati Uniti la rivista specializzata Etruscan Studies: Journal of the Etruscan Foundation. Occorre specificare che parlando di gli Etruschi si tratta della popolazione dell’Italia preromana di cui si hanno più iscrizioni e più reperti archeologici, quindi su di loro si hanno ben maggiori informazioni rispetto a molti altri popoli storici, riguardo i quali si potrebbero porre gli stessi quesiti che hanno assillato studiosi e semplici curiosi per secoli. Gli Etruschi hanno ancora molto da svelare riguardo le loro tracce, come suggerisce lo straordinario rinvenimento compiuto nel 2022 a San Casciano dei Bagni in provincia di Siena, il più importante in Italia dai tempi del ritrovamento dei Bronzi di Riace. Gli scavi, coordinati dall’etruscologo Jacopo Tabolli dell’Università per Stranieri di Siena, hanno riportato alla luce oltre 20 statue di bronzo in ottimo stato di conservazione, circa 5000 monete in oro, argento e bronzo, ma anche ex voto, cioè manufatti da offrire agli dei, e altri oggetti provenienti da altre aree etrusche e romane. I reperti sono datati tra il II secolo aC e il I secolo dC e costituiscono il maggiore deposito di statue di bronzo di epoca etrusca e romana ma trovato.

Ancuni dei bronzi ritrovati a San Casciano dei Bagni
Ancuni dei bronzi ritrovati a San Casciano dei Bagni

Similmente a quanto accade per i Celti, altro popolo che affascina gli “alternativi”, gli Etruschi hanno avuto una lettura politica e ideologica che troppo spesso ha contribuito a mandare fuori strada. Più genuinamente lo scrittore inglese David Herbert Lawrence, che visitò molti luoghi dove un tempo visse il popolo tirrenico, disse che gli Etruschi sono “un’esperienza” da vivere attraverso un contatto autentico e diretto con le testimonianze lasciate dalla loro civiltà. Gli affreschi sembrano suggerire che gli Etruschi amavano i piaceri della vita, qui l’opinione comune non ha torto, e davano molta importanza alla musica e al ballo, come lascia intuire la presenza negli affreschi di musicisti intenti a suonare arpe e flauti e di danzatori, quasi come se per loro la vita fosse una festa e non qualcosa da affrontare in modo austero e castigato.

David Herbert Lawrence
Lo scrittore inglese David Herbert Lawrence

L’arte etrusca, inizialmente contagiata dalle tendenze greche e orientali, ha poi trovato una propria riconoscibile strada nella fase storica più avanzata, elaborando modi espressivi specifici e anticipando, come precedentemente trattato, la ritrattistica realistica dei busti romani. I  siti archeologici lasciati da questo seducente popolo si fondono perfettamente con una natura selvaggia e  portano a una dimensione altra, permettendo di tuffarsi in un passato che riporta alla vivacità contagiosa che appunto emerge dalle opere che gli artisti etruschi hanno lasciato.

Musicisti e danzatori nella Tomba dei Leopardi alla necropoli di Monterozzi
Musicisti e danzatori nella Tomba dei Leopardi alla necropoli di Monterozzi

La serena eleganza dell’Apollo di Veio o del Sarcofago degli Sposi o la bellezza vitale dei commensali, dei musicisti e dei danzatori degli affreschi della Necropoli di Monterozzi a Tarquinia riflettono un contrasto che non stride: proprio nel contesto funebre in cui si elaborava il lutto, l’armonia e l’amore per la vita hanno trovato alcune delle loro esaltazioni più belle con queste inestimabili opere d’arte che continuano ad affascinare ed ispirare.

Riferimenti

Sabatino Moscati, Italia Archeologica, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1973

D. H. Lawrence, Paesi Etruschi, Nuova Immagine Editrice, Siena, 1985

Autori Vari, Grande Enciclopedia De Agostini, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1992-1996

G. Feo, Prima degli Etruschi, Stampa Alternativa, Roma,  2001

M. Pallottino, Etruscologia Settima Edizione, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 2016

Affresco della Tomba del Triclinio, conservata nel Museo Nazionale Etrusco di Tarquinia
Affresco della Tomba del Triclinio, conservata nel Museo Nazionale Etrusco di Tarquinia
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David Sciuga

Si è laureato con lode prima in Lettere Moderne poi in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi della Tuscia. Successivamente ha conseguito il Master di II livello in Management presso la Bologna Business School. La sua tesi di laurea magistrale “La critica della civiltà dei consumi nell’ideologia di Pier Paolo Pasolini” è stata pubblicata da "OttoNovecento", rivista letteraria dell'Università Cattolica di Milano, ed è tuttora disponibile sul portale spagnolo delle pubblicazioni scientifiche Dialnet. Da giornalista pubblicista ha lavorato per il Nuovo Corriere Viterbese e per diverse testate locali, inoltre è anche blogger e critico cinematografico. Ha collaborato con il festival teatrale dei Quartieri dell’Arte e con l’Est Film Festival, di cui è stato presidente di giuria. Come manager di marketing e comunicazione ha lavorato per STS Academy, agenzia di formazione di security e intelligence. Il suo racconto "Sala da ballo" è stato incluso nell’antologia del primo concorso letterario nazionale "Tracce per la Meta". Successivamente è stato premiato con il secondo posto al Premio Internazionale di poesia “Oggi Futuro” indetto dall’Accademia dei Micenei. È stato moderatore di conferenze di geopolitica dove sono intervenuti giornalisti di rilievo nazionale. L'animal fantasy "Due fratelli" è il suo primo romanzo, pubblicato con la casa editrice Lulu.com, a cui segue il romanzo di formazione "Come quando ero soldato". Collabora con il web magazine "L'Undici". Parla correttamente l'inglese, possiede elementi di francese e tedesco.

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