«Caro direttore, ho otto anni. Alcuni dei miei piccoli amici dicono che Babbo Natale non esiste. Mio papà mi ha detto: “Se lo vedi scritto sul Sun, sarà vero”. La prego di dirmi la verità: esiste Babbo Natale? Virginia O’Hanlon»
Una lettera speciale
Il Natale è la festa più sentita dell’anno, che lo chiude celebrando la famiglia e i buoni sentimenti. Una festa foriera di notevole carica retorica, a volte considerata scontata e stantia, ma che continua a esercitare il suo fascino perché dotata di un valore simbolico di rinascita che travalica sia l’aspetto consumistico sia la sua connotazione religiosa cristiana. Quello sopra è il testo di una lettera venne scritta nel 1897 da Virginia O’Hanlon, che chiese al padre Philip, un chirurgo e medico legale neyorkese residente a Manhattan, se Babbo Natale esistesse veramente. Questi la invitò a rivolgersi al New York Sun, quotidiano all’epoca di primaria importanza ma che poi nel 1950 si fuse con il New York World-Telegram. L’episodio è entrato a far parte dell’immaginario collettivo al punto che Is There a Santa Claus? risulta essere l’editoriale in lingua inglese più stampato di sempre, venendo inoltre tradotto in 20 lingue.
La risposta venne affidata alla penna di Francis Pharcellus Church, già corrispondente per il New York Times durante la Guerra Civile Americana, diventando un caposaldo della cultura popolare statunitense ed entrando a far parte della Storia del giornalismo. “Sì Virginia, Babbo Natale esiste” è il celebre, almeno nei Paesi anglosassoni, incipit dell’editoriale. Esso rispose favorevolmente alla domanda, ponendo l’accento sull’importanza di preservare lo spazio ai sentimenti e all’immaginazione, così da impedire alla razionalità di soffocare la fantasia.
Una risposta brillante, che sembra una reazione diretta al dilagare del Positivismo, movimento nato a metà di quel secolo e che si andò rafforzando nella società. Esso vedeva nella scienza e nella tecnica le uniche risorse per comprendere la realtà e adempiere ai bisogni dell’umanità. Sulla veridicità della lettera ci sono dei dubbi, in quanto suona quantomeno strano che una bimba di otto anni possa rivolgersi ai propri coetanei chiamandoli “miei piccoli amici”. In ogni caso Virginia O’Hanlon ricevette un traffico costante di posta per tutto l’arco della sua vita: quell’episodio aveva toccato delle corde sensibili dell’inconscio collettivo. Tutti gli anni nella chiesa del Columbia College alla Columbia University, la prestigiosa facoltà in cui si laurearono sia la bambina di allora che il giornalista, durante la cerimonia degli auguri delle feste di fine anno viene letta la famosa lettera. Alla vicenda è liberamente ispirata la pellicola cinematografica Yes Virginia, There Is a Santa Claus (Sì Virginia Babbo Natale Esiste nell’adattamento italiano, USA 1991), diretta da Charles Jarrot con Richard Thomas (che presta il volto al giornalista Francis Pharcellus Church), Charles Bronson (nei panni del direttore del giornale) e Katharine Isabelle (nel ruolo della piccola Virginia).
Di seguito il promo del film:
Quello che tutto sommato sembra un episodio di poco conto che è stato amplificato dalla cassa di risonanza dei mass media offre invece degli spunti importanti per comprendere il funzionamento di alcune dinamiche antropologiche e sociali.
Il testo originale del famoso editoriale del 21 settembre 1897 con traduzione in italiano: https://sinthema.com/si-virginia-babbo-natale-esiste/
Il mito che resiste
Il mito riguarda un raccolto investito di valore fondativo o che in ogni modo sia particolarmente significativo per la comunità all’interno della quale esso vive, costituendo una forma non letterale di accesso alla verità. Con il mito si trasmettono in modo simbolico gli elementi costituenti l’identità culturale di una società, assumendo la funzione di una rappresentazione dei fondamenti della stessa. Esso tramanda quindi un proprio specifico patrimonio di modelli, esperienze e valori, contribuendo a definire e a cementare l’appartenenza a una comunità.
Credenza diffusa è che il mito sia qualcosa di ascrivibile alle civiltà antiche e che per l’uomo moderno, evoluto e potenziato dalla fruizione degli strumenti tecnologici, sia qualcosa di superato, privo di attualità. Nulla di più sbagliato: il mito esiste e continua a esercitare la sua funzione. La differenza, secondo lo storico Peppino Ortoleva, è che la maggior parte dei miti attuali ha vita più breve, venendo presto sostituita da nuovi miti. Un esempio possono essere i campioni dello sport, che rappresentano il mito del vigore, della possanza fisica, pronti a raccogliere le sfide e a misurarsi con i limiti alla ricerca di record da tracciare, i quali però nel giro di poco tempo vengono sostituiti da nuovi fuoriclasse da idolatrare. Un altro può essere costituito dagli artisti, che siano divi del cinema, stelle della musica o altro, che si ritiene essere dotati di una sensibilità superiore che durante le loro carriere li legittima ad avere comportamenti altrimenti giudicati eccentrici e socialmente condannabili. A differenza del mito antico che rappresenta un esempio da seguire, entrambi questi miti moderni, così come altri affini, suscitano nell’uomo comune un rassicurante senso d’inferiorità, che possa fargli accettare di buon grado la propria condizione di mediocrità, contribuendo a farlo desistere dal cercare di emanciparsi da essa. Alcuni miti quindi risultano essere il proseguimento diretto di esperienze simboliche antecedenti, mentre molti, come questi, hanno appunto un ciclo vitale più breve. Serve una critica del mito per permettere una sua comprensione consapevole, senza farsi trascinare da esso. Occorre infatti riconoscere il mito non soltanto per comprendere che cosa abbia di vero, ma anche per capire che cosa in esso risuona con noi attraendoci, così da evitare di essere sue “vittime” inconsapevoli. Sappiamo che i supereroi delle finzioni narrative non esistono ma il pubblico mentre si intrattiene con le loro storie, lasciandosi trasportare ed emozionare dalle loro imprese, in quella data finestra temporale li percepisce come reali. Il poeta e critico letterario inglese Samuel Coleridge parlava di una “sospensione volontaria dell’incredulità”, la stessa che accomuna il lettore di un romanzo o di un fumetto, lo spettatore di un film al cinema o di una serie in televisione o su una piattaforma di streaming on demand e un fan del professional wrestling. Si può quindi credere per il proprio piacere, fino ad arrivare interrompere l’utilizzo del proprio spirito critico.
Il mito del candore dell’infanzia espresso dalla bambina che vuole essere rassicurata sull’esistenza di Babbo Natale ha dimostrato di continuare a pulsare come testimonia la storia di questa lettera, la cui veridicità non è in fondo così importante, e il suo archetipo, come conferma il successo di numerosi film natalizi, seguita a commuovere e far sognare il pubblico cinematografico di tutto il mondo, che, occorre specificarlo, non è esclusivamente composto da bambini.
La forza dell’autorità
Virginia, o chi per lei, scrisse che suo padre gli aveva detto di stare tranquilla perché se Babbo Natale fosse esistito e lo avesse letto sul Sun avrebbe significato che questo sarebbe stato senz’altro vero. Si tratta di un passaggio che potrebbe sembrare di poco conto ma che invece indica un elemento importante. La frase “Se lo vedi scritto sul Sun, sarà vero” è infatti una spia insospettabilmente indicativa. Per quanti un’informazione è veritiera se semplicemente viene scritta sul giornale, se viene dalle parole pronunciate in televisione, o da parte di una qualsiasi autorità riconosciuta in un dato contesto sociale? Tantissimi. In questo senso Pier Paolo Pasolini, già negli anni ’70 del XX secolo, intuì lo straordinario potere della televisione nell’amplificare il consenso che si tende a dare all’autorità dichiarando che «le parole che vengono dalla televisione cadono sempre dall’alto, anche le più vere. E parlare dal video è sempre parlare ex cathedra, anche quando c’è un mascheramento di democraticità». Così il grande scrittore e regista italiano rispondeva al giornalista Enzo Biagi in un’intervista televisiva nello sgomento generale.
La questione della narrazione dell’emergenza sanitaria da Covid-19 ha costituito una dimostrazione della presa dell’autorità attraverso i medium di massa. Occorre comunque tener presente che il principio dell’autorità costituisce un elemento fondamentale della psicologia delle masse. Il cervello umano, che lavora sempre con il risparmio energetico attivo, crea delle scorciatoie cognitive inconsce per risparmiare tempo ed energie, che però espongono a dei bias cognitivi sfruttati da coloro che sono in grado di manipolarle per i loro interessi. Uno di questi è il principio della riprova sociale per cui il conformarsi alle scelte compiute della massa è da considerare una cosa buona e questo è sistema su cui si basa la moda. Meccanismo ancora più radicato è il seguire le direttive di chi in un contesto definito riveste una data autorità o perlomeno sembra farlo semplicemente perché indossa una divisa o è provvisto di uno status symbol. L’educazione viene comunemente trasmessa attraverso l’obbedienza a chi riveste un’autorità. Essa nella stragrande maggioranza delle società umane è completamente basata sul concetto di autorità esercitato da genitori, maestri e professori, rafforzato di solito da un meccanismo di premi e punizioni. La Bibbia, il testo che continua a influenzare l’orientamento morale di milioni di persone nel mondo, nella sua interpretazione comune indica chiaramente l’importanza incondizionata di seguire l’autorità: Dio punisce la disobbedienza di Adamo ed Eva che colgono la prima mela e premia la fedeltà di Abramo, che si dimostra pronto a sacrificare addirittura suo figlio solo perché gli viene ordinato. Gli esperimenti di psicologia sociale elaborati dai ricercatori statunitensi Stanley Milgram e Philip Zimbardo dimostrarono che almeno l’80% delle persone, senza distinzione di alcun tipo, segue ciecamente l’autorità.
Affidarsi a degli esperti ovviamente non è sbagliato a prescindere e il loro contributo spesso è necessario. Tuttavia non bisogna rinunciare ad esercitare adeguatamente la propria indipendenza di giudizio, pena il finire a essere dei bambini cresciuti che credono a Babbo Natale solo perché l’hanno letto sul giornale.
Riferimenti
Autori vari, Grande Enciclopedia De Agostini, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1996
David Sciuga, La Critica della Civiltà dei Consumi nell’ideologia di Pier Paolo Pasolini, Università degli Studi della Tuscia, Viterbo, 2012
“Miti a bassa intensità”: il ruolo del mito nella società moderna