La dialettica Signore-Servo è un celebre concetto di Hegel, considerata come uno degli elementi chiave della sua filosofia, per cui questa relazione impari fra gli esseri umani alla base delle diseguaglianze sociali è un motore fondamentale per la Storia. Lo scrittore inglese Herbert George Wells nel romanzo fantascientifico “La Macchina del Tempo”, da cui venne tratto il film “L’Uomo che visse nel futuro”, rielabora questo dualismo attraverso il rapporto di due razze agli antipodi: Eloi e Morlock.
La dialettica Signore-Servo
Bisogno fondamentale dell’uomo come animale sociale è farsi riconoscere da un suo simile, in quanto altro essere pensante, da qui in bisogno di ricercare gli altri nella vita sociale, da questo assunto parte un tema del filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel espresso nella Fenomenologia dello Spirito del 1807, sua opera più famosa.
Questo avviene attraverso una sfida, un confronto dove secondo quanto afferma il filosofo non possono mancare serietà e onore (anche se in molte società solitamente si usa ogni mezzo possibile in sfregio a qualsiasi codice etico per ottenere una posizione egemone), laddove un elemento prevarica sull’altro e inizialmente ad avere la meglio è chi accetta di mettere a repentaglio la propria vita per sancire la sua supremazia. Il conflitto si risolve con il subordinarsi di una delle parti rispetto all’altra. Il signore è colui che ha accettato di mettere a repentaglio la propria vita pur di affermare se stesso, il Servo invece ha preferito rinunciare alla propria indipendenza pur di non rischiare. Il Signore così si pone al dominio della società, ma per Hegel il rapporto Servo-Signore trova un paradossale capovolgimento. Il Signore, infatti, dalla sua posizione di dominio, si ritrova tuttavia a dipendere del Servo, nella misura in cui si ritrova a godere passivamente dei risultati del lavoro del Servo si ritrova a dover dipendere da lui. Il Servo raggiunge in un secondo momento questo trionfo proprio perché, secondo il pensatore tedesco, ha tremato di fronte alla morte. Temendo la perdita assoluta della propria essenza, ha potuto sperimentare la propria natura come qualcosa di distinto da tutte quelle certezze che prima potevano sembrare come scontate e indiscutibili.
Nel lavoro il Servo deve trattenere i propri istinti e imprimere agli oggetti che crea una forma e un’indipendenza che sono il riflesso che lui sperimenta nell’atto della creazione. I marxisti hanno visto in questo passaggio un’intuizione dell’importanza dei rapporti produttivi per delineare la struttura della società, osservando anche che in questo rapporto tra sfruttatore e sfruttato si celano i germi della liberazione. Tuttavia Hegel non arriva a delineare in nessun modo il manifestarsi di una rivoluzione con un conseguente sovvertimento dell’ordine sociale. Marx sosteneva che l’Idealismo di Hegel gli impedì di vedere la natura alienante e oppressiva del lavoro nella realtà concreta e fattuale fattuale. Tuttavia l’osservazione dell’interdipendenza tra le parti, financo di quella in una condizione privilegiata, resta in tutta la sua efficacia. Il Signore, oltre che dipendere fattualmente dall’operato del Servo, deve il suo status anche al riconoscimento della sua posizione da parte del Servo.
Un’interpretazione letteraria e cinematografica
Nel romanzo di H. G. Wells del 1895 The Time Machine (La Macchina del Tempo) e nel film di fantascienza L’uomo che visse nel futuro (USA 1960) di George Pal, viene proposta un’interessante interpretazione della dinamica Servo-Signore di Hegel. All’epoca non erano a disposizione ancora sufficienti effetti speciali per il genere cinematografico in questione, tuttavia, grazie a una buona resa scenica, il risultato resta comunque dignitoso. Rod Taylor convince nel ruolo, mentre Yvette Mimieux non deve fare molto per mettersi nei panni di Weena, la bella ragazza del futuro da salvare, sia sul piano fisico che psicologico, rappresentante di una nuova e fragile umanità. Il film ha delle buone trovate, su tutte quella del manichino nella vetrina di un negozio di fronte alla casa del protagonista che cambia abito a dimostrazione del fluttuare delle mode con lo scorrere del tempo. La pellicola costituisce un importante capostipite per il tema dei viaggi del tempo e resta tra le più interessanti e riuscite a trattare l’argomento.
Il romanzo, scritto appena dopo l’epoca Vittoriana, periodo in cui le classi dominanti possedevano e gestivano l’apparato industriale che stava sviluppandosi, si dilettavano negli sport che erano nati da pochi decenni, mentre le masse continuavano a lasciare le campagne per costituire la forza lavoro delle fabbriche, nel ben mezzo della Seconda Rivoluzione Industriale. Wells immaginò che le drastiche differenze degli stili di vita in un remoto futuro avrebbero portato alla comparsa due due specie umane divenute ormai diversissime. Il gentiluomo londinese George Wells, alter ego dello scrittore, vuole dimostrare ai suoi amici di esser riuscito a trovare il modo di viaggiare nel tempo elaborando una macchina che utilizza le sue conoscenze in fisica e meccanica. Decide di saggiare la reale possibilità di spostarsi tra le epoca sperimentando direttamente su se stesso. Procedendo vertiginosamente in avanti del tempo e visitando varie ere arriva a un futuro lontanissimo: il 12 ottobre 802.701. La terra ha l’aspetto di un Eden lussureggiante, dove agi, acqua potabile e cibo sono a disposizione senza bisogno di lavorare. Il protagonista si imbatte in degni esseri che hanno le sembianze di adolescenti delicati e aggraziati, biondi e con addosso delle leggere vesti di colore chiaro, gli apatici Eloi.
Sono inetti e facilmente spaventabili, non hanno forza di volontà e sono sprovvisti di cultura e conoscenza. Questo ambiente paradisiaco in cui non c’è bisogno di avere alcuna qualità per prosperare ha come contraltare degli oscuri sotterranei dove i Morlock, ripugnanti creature scimmiesche, lavorano per mandare avanti degli arcani marchingegni meccanici che permettono alla superficie di prosperare. Gli Eloi, che a loro insaputa vivono in quello che a tutti gli effetti è un allevamento, periodicamente vengono attratti nei sotterranei dalle sirene ipnotiche, dove poi vengono mangiati dai Morlock. Il nome Eloi richiama quello di Elhoim, nome ebraico attribuito alla divinità nella Bibbia, mentre Morlock fa lo stesso con Moloq, dio fenicio il cui culto era diffuso in tutto il Vicino Oriente, a cui veniva associato un particolare tipo di sacrificio associato al fuoco.
Contrapposizione di classe
Eloi e Morlock rappresentano quindi l’alta borghesia e la classe operaia e nella loro disturbante simbiosi si può leggere un’interpretazione della dinamica Servo-Signore. Il padrone in una prima battuta esce trionfante nel confronto con il popolano: dall’alto della sua condizione privilegiata non ha bisogno di lavorare, lasciando che sia quest’ultimo a farlo per lui, potendosi permettere una vita di agi e comodità. La vittoria del servo qui raggiunge il macabro e paradossale esito per cui questo lusso è una prigione dorata, alimentata dai mostruosi Morlock per avere una fonte di sostentamento nel cannibalismo nei confronti degli inermi Eloi. In questa rivisitazione padrone si fa vittima e il servitore diventa a sua volta un oppressore sotto mentite spoglie. La vicenda di fantasia, forse non priva di un certo classismo, vuole essere un monito per l’alta borghesia britannica a non lasciarsi intorpidire, dall’altro mostra come una società nettamente scissa da una frattura profonda non può che generare mostruosità e storture. Ma si può andare anche oltre: se da un lato gli agi hanno un prezzo, dall’altro la classe egemone in ultima analisi dipende dalle masse, che con la fatica del loro lavoro mandano avanti la società. “Quelle a cui dai la caccia sono le persone da cui dipendi, noi cuciniamo i tuoi pasti, togliamo la tua immondizia, colleghiamo le tue telefonate, guidiamo le tue ambulanze, ti sorvegliamo mentre stai dormendo” dice Tayler Durden a un poliziotto in Fight Club, film di David Fincher tratto romanzo di Chuck Palahniuk. “People have the power” canta invece Patty Smith in una delle sue canzoni più iconiche, indicando che la base della società non può che stare nelle sue fondamenta. E ogni potere infatti ha bisogno di essere suffragato da una certa base di consenso popolare reale. Le classi egemoni conoscono la loro dipendenza dalle masse e, continuando a nutrire il timore di essere spazzati via, hanno nel tempo perfezionato strategie di controllo via via più raffinate per preservare il loro potere.
Riferimenti
Storia della Filosofia, Nicola Abbagnano, Gruppo Editoriale L’Espresso, Bergamo, 2006