Michael Jordan è il primo atleta-azienda a vita della Storia. “Air A Story of Greaness”, diretto da Ben Affleck e protagonista insieme al fidato amico Matt Damon, mostra la vicenda che ha fatto passare a un livello successivo il marketing dello sport.
Lo sport come fenomeno globale: il caso Pelè
Lo sport è nato come attività ludica della società industriale per la classe sociale egemone, per poi presto trasformarsi in un grande business, data la passione che suscita nelle masse che seguono alcune discipline di squadra dove è facile far leva sul senso di appartenenza, il “noi”. La Serie Netflix The English Game, in una fase ancora pionieristica del calcio, narra proprio la nascita dello sport professionistico, quando i migliori calciatori cominciano ad essere pagati, cominciando a provenire non solo dall’alta borghesia ma anche dalla classe operaia. La prima stella sportiva globale è stato il calciatore brasiliano Pelè tra gli anni ’50 e i ’70, l’unico ad aver vinto tre campionati del mondo con la propria Nazionale e da molti considerato il più grande di sempre. Il Santos, il suo club, faceva tourneé in tutto il mondo per via degli introiti che generava la fama del suo giocatore più rappresentativo. Tuttavia solo nell’ultima parte della carriera pose le basi della sua ricchezza: trasferendosi negli Stati Uniti per giocare nella lega professionistica nazionale della NASL con i New York Cosmos, che lo misero sotto contratto come recording artist (!) anziché ufficialmente come calciatore, entrò in contatto con le multinazionali e lo star system. Non a caso la sua successiva partecipazione al film diretto da John Huston Fuga per la Vittoria (USA 1981), con l’iconica scena in slow motion del goal in rovesciata, entrò nell’immaginario collettivo. Contratti di sponsorizzazione lo accompagnarono per il resto della vita, che dedicò principalmente alla coltivazione dello status di leggenda conseguito come giocatore. Si era capito che lo sport con i suoi campioni sapeva calamitare le masse che si rivedevano in questi ultimi e nelle loro gesta. Il traino della passione sportiva e del tifo poteva orientare anche gli acquisti dei consumatori e quindi generare ingenti volumi di ricavi.
Un salto nel buio
La vicenda si apre nel 1984, periodo in cui il la pallacanestro perde di attrattività, tanto che le finali NBA vengono trasmesse solo in differita. La Nike va abbastanza bene ma è lungi dal dominare il mercato: i contratti di sponsorizzazione con i giocatori più importanti dell’NBA, il campionato professionistico nordamericano, che è di gran lunga il più importante al mondo, sono divisi tra Converse e Adidas. A Beaverton in Oregon alla sede centrale il manager Sonny Vaccaro illustra agli altri dirigenti la sua illuminazione: mettere sotto contratto un giovane distintosi nel campionato universitario nazionale NCAA e fresco di approdo in NBA: Michael Jordan dal North Carolina. Nell’incredulità generale riesce però a ottenere la fiducia e l’appoggio del CEO e cofondatore dell’azienda: Phil Knight. Il problema principale è che la concorrenza è agguerrita e che il cestista costa comunque molto. Si tratterebbe di relativo un salto nel buio.
L’attenzione ai dettagli
Vaccaro era soprannominato il Maestro Miyiagi del basket (proprio in quell’anno usciva Karate Kid) per la sua capacità nelllo scovare i talenti. Infatti il suo percorso è particolare: originariamente era un insegnante che organizzava tornei tra studenti delle scuole superiori. Ne aveva visti di giocatori e il suo occhio aveva notato qualcosa che poteva sfuggire ai meno esperti in quel ragazzo smilzo che era sì un bravo giocatore ma non era ancora scontato che diventasse il fuoriclasse epocale che poi si sarebbe assicurato un posto nell’immaginario collettivo. Un suo tiro da tre punti decise il campionato universitario statunitense NCAA nella stagione 1981/1982 in cui i suoi North Carolina Tar Heels vinsero in una finale al cardiopalma. La sua posizione a lato della linea dei tre punti e la rilassatezza della sua posa al momento di ricevere la palla decisiva fanno intuire a Vaccaro, che vede e rivede la partita della finale, che si trattava di uno schema, tracciato dall’allenatore perché conscio delle qualità tecniche e caratteriali del suo giocatore di punta.
La svolta
Vaccaro decide il tutto per tutto: si reca a casa dei Jordan, scavalcando il procuratore del cestista, per avere un primo colloquio con i genitori. La riunione del Consiglio di Amministrazione con il giocatore viene interrotta da un monologo improvvisato di Vaccaro che decide di puntare tutto sull’astro nascente della pallacanestro, convincendo i genitori che l’azienda crede davvero in lui e nelle sue qualità, destinate a fargli guadagnare fama imperitura in quella che è la scena chiave del film. L’idea azzardata fu quella di progettare una scarpa ideata interamente per il campione, le Air Jordan. La madre dell’atleta riuscirà successivamente a strappare per il figlio delle royalties a vita sul modello di scarpe: era nato un precedente mai visto prima, perché “una scarpa è solo una scarpa finché non la indossa mio figlio”. Peter Moore disegnò non solo le Air Jordan ma anche l’iconico logo con la sagoma del campione intento a effettuare una schiacciata a gambe aperte.
Una pellicola riuscita
Si tratta di un film asciutto che introduce lo spettatore nell’ambientazione temporale degli anni ’80, tanto amati quanto importanti per l’affermazione del capitalismo su scala globale, che è il vero tema del lungometraggio, per poi procedere affidandosi quasi esclusivamente ai dialoghi. Non ci sono i classici buoni ma persone collaborano per un obbiettivo, contagiate dalla testardaggine con cui Vaccaro difende la propria idea. Tuttavia il film non rinuncia a far ricorso a quel pizzico di epicità che contraddistingue il cinema americano. Matt Damon e Ben Affleck non sono affatto somiglianti alle loro controparti reali ma funzionano, Affleck comunque può caratterizzare il suo personaggio con i vezzi del manager che interpreta, come indossare occhiali da sole al chiuso e stare con i piedi scalzo sulla scrivania. Viola Davis che nel ruolo di Deloris Jordan, la madre del campione, offre un’interpretazione memorabile, pur comparendo pochi minuti sullo schermo. È invece significativo che Michael Jordan appaia soltanto ripreso di spalle: il volto dell’uomo dietro a questa impresa comerciale non viene quindi mai inquadrato per dare un senso di misticismo e autenticità. Il ricorso alle musiche è stato fatto in maniera discreta ma mirata. Vaccaro non ha un curriculum da praticante di sport ma è un appassionato e un fine osservatore della palla a spicchi e la sua intuizione da azzardo si è trasformata in uno spartiacque storico per lo sport come fenomeno globale e come fattore di marketing. L’NBA proprio in quel periodo, anche grazie al fenomeno Jordan, uscì da un periodo di secca, toccando vette di popolarità mai raggiunte e diventando un fenomeno globale. Michael Jordan divenne non solo una leggenda dello sport ma anche un’azienda vivente di inusitate dimensioni e le sue sneakers, le scarpe da ginnastica, passarono dall’essere così una semplice attrezzatura sportiva a oggetto di moda e di identificazione sociale con cui il capitalismo sportivo a è approdato a una nuova era.