Il popolo nella Storia ha più volte cercato di trovare una rivalsa nei confronti della minoranza delle classi dominanti, il più delle volte andando incontro a disfatte epocali oppure venendo raggirato. Ma non sono mancate occasione in cui l’ago della bilancia dell’ordine sociale precostituito è stato effettivamente spostato. In seguito si prendono i esame tre fatti di epoche differenti: le Secessio Plebis nell’Antica Roma Repubblicana, la Rivolta dei Ciompi a Firenze nel Basso Medioevo e la Guerra dei Contadini Tedeschi nel Sacro Romano Impero Germanico in epoca rinascimentale
Le Secessio Plebis dell’Antica Roma
Nell’Antica Roma la popolazione appartenente alla plebe ha più volte attuato uno sciopero in massa chiamato Secessio Plebis. Ogni attività venne interrotta e questo portò quindi alla paralisi della città: la strategia si rivelò quindi vincente e i Plebei riuscirono così ad ottenere molte concessioni dai Patrizi. La Prima Secessio Plebis avvenne nel 494 avanti Cristo e avvenne in contrasto alle aspre leggi nei confronti dei debitori, che potevano anche prevedere l’imprigionamento dei debitori.
Il Console Appio, incurante del malcontento generale, fece approvare dei decreti che facilitarono l’incarcerazione dei debitori. La risposta non aveva precedenti nell’Urbe: su proposta di Lucio Sicinio Velluto, tutta la popolazione plebea, che oltre a far procedere le attività rimpinguava anche le fila dell’esercito, si ritirò secondo alcune fonti sul Monte Sacro, per altre sul Colle Aventino.Da allora entrambi diventati per antonomasia sinonimo di secessione popolare. Nacque inoltre un nuovo organismo politico: i Concili della Plebe, assemblee per permettere ai Plebei, divisi in tribù, di partecipare alla vita pubblica, le cui decisioni originariamente erano vincolanti per i Patrizi. La Seconda Secessio Plebis risale al 449 e ebbe come obbiettivo gi abusi ad opera dei Decemviri, un gruppo di dieci magistrati straordinari. Nel 450 si aprì un periodo straordinario in cui Roma decise di nominare i decemviri per stilare il primo codice di leggi scritte della repubblica. La commissione ebbe a disposizione il termine di un anno per svolgere il compito, periodo in cui vennero interrotte tutte le attività dello Stato. Il Risultato fu l’emanazione delle Leggi delle XII Tavole. Successivamente i magistrati si rifiutarono di dimettersi al punto da dar uccidere un ex Tribuno della Plebe che si era opposto alla loro imposizione. Da qui ebbero luogo dei soprusi e tra essi uno in particolar modo sconvolse l’opinione pubblica: il decemviro Appio Claudio Crasso, tentò di costringere una donna, Virginia, cittadina romana, a sposarlo, dichiarando falsamente che si trattava di una schiava. Per salvare l’onore il padre si ritenne costretto a pugnalare la figlia, con un atto che sconvolse la popolazione. Rifiutando l’ordine del Senato di dimettersi e commettendo altre azioni dispotiche, I Decemviri provocarono la seconda Secessio, la quale portò alla loro deposizione. I risultati ottenuti furono il ripristino di poteri dei Tribuni della Plebe, precedentemente ridimensionati e il ripristino del diritto di appello durante i processi. Successivamente venne ottenuta una grande conquista da parte della classe meno abbiente: la Lex Valeria Horatis De Plebiscitis, con la quale si stabiliva che tutte le leggi emanati dai Concili della Plebe fossero vincolanti. E’ importante notare che Tutti i provvedimenti decisi dal concilio della plebe dovevano essere messi per iscritto e custoditi nel tempio di Cerere, sorvegliati dagli edili, dei magistrati plebei. Questo significava che sia i tribuni della plebe che gli edili sarebbero sempre stati a conoscenza del contenuto dei decreti, elemento che un tempo era esclusivo appannaggio degli aristocratici. La Terza Secessio portò alla concessione dei matrimoni misti tra patrizi e plebei: Il tribuno della Plebe Gaio Canuleio chiese con successo l’abrograzione della legge che lo vietava, i consoli risposero duramente, paventando l’interesse per il bene collettivo: secondo la loro argomentazione la concessione avrebbe minato il tessuto sociale di Roma. Tuttavia la richiesta riuscì a trovare accoglimento. Fallì invece la sua proposta di aprire la candidatura al Consolato anche ai plebei. Si trovò un compromesso tra le parti con la creazione della carica del “Tribuno del Potere Consolare”. Della quarta Secessio, risalente al 342 si hanno poche notizie, si presume che si tratti di un nuovo tentativo fallito di ottenere la candidatura a Console dei plebei. La quinta e ultima del 287 a.C. avvenne in relazione alla conquista di territori dei Sabini nel 290. L’esercito guidato dai Consoli Manio Curio Dentato e Publio Cornelio Rufino poté contare sul fondamentale contributo di Plebei, ma il bottino di guerra venne spartito solo fra i patrizi, lasciando gravare sul capo dei plebei il saldamento di ingenti debiti. In seguito a un reiterato sciopero con cui i popolani si ritirarono stavolta sul Colle Gianicolo, che mise in crisi la città, il Senato nominò dittatore Quinto Ortensio che in risposta promulgò la legge che porta in suo nome. La Lex Hortensia. L’atto giuridico confermò e rinvigorì le precedenti Leges Valeriae Horatiae: le deliberazioni del Concilium Plebis dovevano essere applicate a tutto il popolo romano, a prescindere dalle classi. Anni di scioperi compatti, portati avanti per generazioni, portarono a scardinare disparità che inizialmente dovevano apparire come un ordine naturale immutabile: le disparità economiche restarono ma la nuova società che nacque divenne più aperta e giuridicamente più equa. La Nobilitas, la nuova classe egemone nata dall’incontro tra le tradizionali famiglie aristocratiche e i plebei arricchiti provenienti dalla Plebe, spesso con bottini di guerra, caratterizzò l’ascesa di Roma come potenza mondiale.
Il Tumulto dei Ciompi a Firenze nel 1378
La Rivolta dei Ciompi ebbe luogo a Firenze nell’estate 1378 ed ebbe come protagonisti i salariati delle diverse “arti”, le professioni. Furono in particolare i dipendenti dell’Arte della Lana a insorgere. Dopo la Peste Nera del 1348 Firenze, già sofferente per via della concorrenza commerciale di Venezia, intraprese guerre con Pisa e partecipò, insieme ad altri comuni, alla Guerra degli Otto Santi contro lo Stato della Chiesa, che ebbe un esito disastroso. La classe dirigente di Firenze, economicamente con l’acqua alla gola, cercò di risollevarsi sobillando il popolo di tasse. I Ciompi, privi di qualsiasi rappresentanza politica, si ribellarono e chiesero l’istituzione di un loro organo rappresentativo. All’epoca le Arti erano associazioni laiche nate per il perseguimento di fini comuni, riunendo lavoratori che praticavano lo stesso mestiere. Insediato nel Palazzo dei Priori un loro sindaco, elaborarono una riforma per creare tre nuove Arti del popolo minuto (o popolo di Dio), con diritto a un terzo delle magistrature: due comprendevano i piccoli artigiani e una i Ciompi veri e propri. Le Altre Arti non stettero a guardare e la loro coalizzazione portò a una controffensiva che portò molti dei Ciompi a lasciare Firenze, gli altri restarono isolati e vennero sedati con un bagno di sangue. I Ciompi scomparvero come forza politica.
La Guerra dei Contadini Tedeschi del 1524-1526
La Guerra dei Contadini tedeschi (in tedesco “Der Deutsche Bauernkrieg”) fu una rivolta, meno celebre delle precedenti, che avvenne nei territori del Sacro Romano Impero della Germania meridionale nel Rinascimento, tra il 1524 e il 1526.
Sebbene i contadini liberi all’epoca erano un’eccezione, i problemi nel rapporto tra signori e coltivatori erano originato dal vuoto giuridico per cui le relazioni tra contadini e proprietari non avevano nessun regolamento, questo li metteva in una posizione fortemente instabile e subalterna. I contadini vedevano gravare sul loro capo le “decime”, la decima parte del raccolto che spettava di diritto al signore. Erano tenuti a eseguire per i vassalli una serie di lavori obbligatori ed erano tenuti pagare tributi onerosi in varie occasioni, come per i passaggi di proprietà. Alcuni signori trattavano i sottoposti con coscienza, tuttavia le imposizioni aumentarono pesantemente. Inoltre i crescenti debiti nei confronti dei signori costituivano una spada di Damocle per i martoriati contribuenti, a cui si aggiungevano usurai che erano membri della chiesa e israeliti. In questo clima oppressivo si faceva strada una corrente democratica che vedeva nell’uomo comune che guadagnava faticosamente il pane le virtù tedesche e cristiane di abnegazione e adesione a saldi principi morali. A lui sarebbe spettato il compito di liberazione dalla corruzione di Impero e Chiesa. Negli ultimi secoli del XV secolo erano già scoppiate delle rivolte popolari, che furono sedate con la violenza, senza però smorzare questo sentimento di rivalsa. La guerra dei contadini cominciò con la sollevazione dei contadini di Stühling nella Selva Nera, nel giugno 1524, improntata a opporsi alle pesanti tasse e i non trascurabili servizi che il conte esigeva. I contadini dei distretti vicini presero parte alle sommosse e nell’agosto 1524 si diressero tutti, sotto il comando di un lanzichenecco, nella vicina città austriaca di Waldshut. L’amministrazione locale, impedita dal potere centrale, non arginò le rimostranze, che così si diffusero ulteriormente: sul principio del 1525 tutta l’Alta Slesia era in fiamme. Nella primavera del 1525 i contadini divisi in gruppi, presentarono le loro istanze nei cosiddetti “Dodici Articoli”. Essi contenevano tanto richieste d’ordine chiesastico quanto richieste d’ordine economico-sociale, come la libera scelta del parroco e la limitazione delle decime, l’abolizione della servitù della gleba, la riduzione delle prestazioni, l’istituzione di un tetto alle tassazioni, libertà di caccia e di pesca, boschi intesi come bene comune. Questi articoli erano formulati con molta abilità e moderazione e vi si dichiarava espressamente di essere pronti a rinunziare a qualunque esigenza, di cui fosse provata l’incompatibilità con la Bibbia. Ma la loro applicazione non era possibile. A parte il fatto che una così fondamentale trasformazione delle condizioni agrarie non si poteva effettuare d’un colpo, mancava nei principi e nei signori la volontà di accordo; nei ribelli d’altra parte si fecero avvertire ben presto esigenze molto più radicali.
Come accennato, i contadini rivoltosi si unirono a Balthasar Hubmaier che aveva diffuso radicali idee religiose: e qui si congiunsero il movimento rurale e quello cittadino, il sociale e l’evangelico. Il governo austriaco, impedito dalla grande politica, non fece alcun passo energico, in modo che l’insurrezione ebbe modo di diffondersi sempre più: sul principio del 1525 tutta l’Alta Slesia era in fiamme. E nella primavera del 1525 i coltivatori, divisi in bande, esposero le loro esigenze e aspirazioni nei cosiddetti “Dodici Articoli”. La questione dell’origine di questo manifesto e del suo autore è molto discussa e non è stata ancora messa in chiaro del tutto. Essi comunque contengono tanto richieste d’ordine clericale quanto richieste d’ordine economico-sociale; la libera scelta del parroco e la limitazione delle decime, l’abolizione della schiavitù della gleba, la riduzione delle prestazioni richieste, l’abolizione di tutte le gravezze o tasse che superassero la consuetudine, libertà di caccia e di pesca, possesso in comune dei boschi. Gli articoli erano formulati in modo astuto e misurato e si dichiarava la rinuncia alla loro applicazione qualora fosse dimostrata l’incompatibilità con i Testi Sacri. Si chiedeva quindi di applicare dei cambiamenti radicali che trovarono l’opposizione dei principi. Il padre della Riforma Protestante Martin Lutero inizialmente appoggiò i rivoltosi, vedendo in loro una potenziale fonte di proseliti, salvo poi prendere le distanze quando la situazione si fece più tesa e gli scontri cruenti. Nel 1526 la ribellione fu spenta in un bagno di sangue. Il numero complessivo delle vittime, fra uccisi e giustiziati, viene calcolato a più di 100.000. Le violenze perpetuate dai rivoltosi vennero di gran lunga superate dalla risposta armata dei feudatari. I contadini restarono con un pugno di mosche in mano. Pochi signori accordarono qualche concessione, mentre la maggioranza impose punizioni esemplari e multe salate. Oltre al danno la beffa: i contadini tedeschi, dopo questo totale fallimento, si trovarono tagliati fuori dalla vita politica imperiale. Il risultato di questo scontro ebbe conseguenze sia politiche che economiche.
Non fu l’Impero a sedare questa rivoluzione, ma i principi territoriali: il che aumentò la loro potenza indebolendo il potere centrale. Questo non abbastanza conosciuto capitolo storico fu invero un duro colpo per le masse d’Europa, che dovettero far passare molte generazioni prima di imbracciare di nuovo la lotta politica per i propri diritti.
Una domanda sorge spontanea a questo punto.
Perché alcune rivolte funzionano e altre no?
Dati i tre esempi di rivolte popolari contro l’oppressione della classe dominante avvenute in epoche e luoghi differenti si può tentare di tracciare delle costanti che possano aiutare ad analizzare e comprendere questo tipo di fenomeno sociale. La Storia insegna che i moti proletari, o comunque della porzione più ampia di una società, molto spesso falliscono miseramente: la classe egemone non solo ha il coltello dalla parte del manico detenendo il controllo e il possesso di maggiori mezzi e risorse, ma dispone anche di una migliore organizzazione e una tendenzialmente maggiore unità d’intenti. Ma sorprendentemente anche nell’ambito di come si compie una rivolta popolare dal basso per far valere i propri diritti, oltre a altri campi più noti come la strategia militare o il diritto, Roma Antica insegna. Le rivolte per essere efficaci devono essere compiute da una classe sociale compatta e che concordi con chiarezza sugli obbiettivi da raggiungere, si è visto invece come nella Firenze altomedievale gli esponenti delle corporazioni erano rivalità tra loro, mentre i popolani protagonisti delle Secessio Plebis erano quasi sempre compattissimi. Altresì importante è effettuare una protesta che abbia modo di ricattare il gruppo egemone, per esempio con uno sciopero che interrompa l’erogazione dei servizi essenziali per la vita pubblica costringendolo quindi a rivedere le proprie posizioni. Ribellarsi all’interno di un sistema politico più piccolo e raccolto, come nella Roma degli albori, può risultare più agevole e meno dispersivo anche se si è visto come nel Sacro Romano Impero Germanico la rivolta è stata sedata dai principi locali e non dall’Imperatore. Nel contesto globalista del principio del XXI secolo appare in ogni modo più difficile attuare, per via della forte interconnessione tra le parti sociali, anche a fronte di un’ingente distanza geografica. In ogni modo una costante travalica i confini e le epoche: uniti si vince, divisi si affonda.
Riferimenti
Roberto Bosi, Il Grande Libro di Roma, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988
Autori vari, Grande Enciclopedia De Agostini, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1996
Grazie a te per la tua attenzione!