Europa e Usa quanto è difficile prendere una scelta? Molti in Italia si lamentano continuamente delle lungaggini dei processi amministrativi e burocratici, ma è un problema solo del nostro Paese? Le conseguenze della pandemia da Coronavirus stanno mostrando che l’ampollosità dei processi decisionali è piuttosto un problema internazionale, o meglio, uno scotto da pagare per vivere in uno Stato democratico.
Henry Kissinger, parlando dell’Europa affermava anni fa che non
sapeva a chi telefonare per sapere cosa
si stesse decidendo al tavolo delle trattative di Bruxelles.
Europa e Usa: un “problema” di democrazia.
La risposta alla Pandemia ha mostrato, in Europa e Usa, quanto sia difficile giungere ad una decisione; con risolutezza e tempestività.
La frase pronunciata da colui che è stato, e probabilmente è tutt’ora, uno degli uomini più influenti dei gabinetti di Washington, va analizzata alla luce del sistema garantista tipico delle democrazie liberali.
Lo stesso Francis Fukuyama, nel suo famoso saggio politico dal titolo “La fine della storia e l’ultimo uomo”, parla di come le democrazie liberali, se pur ascrivibili come forma più pura nel cammino dell’umanità verso la perfezione di governo, abbiano rappresentato spesso un vuoto di governabilità.
Un vuoto incolmabile se non si vuole pagare il prezzo di una deriva totalitaria.
Durante questi interminabili mesi di pandemia si è assistito ad una ripresa senza eguali del colosso asiatico cinese dove, senza mezzi termini, si sono rispettate le misure repressive di un lockdown serrato.
Vuoi perché la cultura cinese, rispetto a quella occidentale, è orientata maggiormente verso il sacrificio, vuoi perché gli Asiatici sono famosi per essere storicamente propensi al sacrificio e al rispetto delle regole, ma anche la forma di Stato ancora vigente in quei luoghi ha giocato il suo ruolo.
Sebbene la politica cinese si sia aperta alla democrazia liberale già diversi decenni fa, grazie alle riforme di Deng Xiao Ping, in essa permangono ancora strutture fortemente autoritarie.
Proprio quelle strutture hanno permesso, in un momento come questo, di fare quello che era necessario e di far rispettare, anche con la forza, le norme necessarie al bene pubblico.
Vilfredo Pareto stesso
ci insegna che si governa con la forza e col consenso,
sia in dittatura che in democrazia.
Quando l’una viene meno, l’altra corre in suo aiuto.
Il punto debole delle democrazie liberali, come ha sostenuto Fukuyama, è proprio quello che per concedere e riconoscere i sacrosanti diritti di libertà,
deve negoziare la sua forza di governo con le varie espressioni sociali che sono la manifestazione diretta di quell’inviolabile riconoscimento del principio di libertà d’espressione.
Europa e Usa, pertanto, condividono un sistema di potere atto a garantire la massima democraticità possibile, la quale comporta soprattutto un complesso sistema di bilanciamento dei poteri (Check And Balance power).
Quando una decisione viene soppesata, ammesso che non incontri lo sfavore popolare e dei gruppi sociali quali sindacati, associazioni di categoria dei lavoratori, vari gruppi e partiti politici, deve comunque sottostare ad una serie di passaggi che ne aumentano i tempi di perfezionamento ed approvazione.
Questo è quello che è successo e che sta succedendo, in Europa e in Usa, durante l’iter di approvazione delle misure economiche atte a fronteggiare e gestire la crisi pandemica e a prepararsi per il post pandemia.
Come evidenziato dal giornalista Sergio Fabbrini nel Sole 24 Ore del 20 Dicembre 2020 il Presidente neo eletto Joe Biden è capo dell’esecutivo e non capo del Governo.
Biden ha proposto una tempestiva risposta di oltre 900 miliardi di dollari del Pandemic Relief Program per fronteggiare la seconda ondata pandemica.
Il Pandemic Relief Program dovrà comunque essere negoziato da istituzioni legislative da lui indipendenti, come nel rispetto democratico del principio di separazione dei poteri e di check and balance caro alla tradizione statunitense.
Europa e Usa due macchine garantiste dal complesso funzionamento.
Cominciando dagli Stati Uniti, troviamo un presidente capo dell’esecutivo, ma non del governo e due camere legislative elette a parte rispetto l’elezione dello stesso presidente che è direttamente scelto dai Grandi elettori sulla base del favore popolare.
Le camere hanno anche una durata differente rispetto al presidente e godono di una consistenza elettorale differente.
Il presidente non ha accesso al Congresso e non ha un potere legislativo diretto.
Come nel caso dell’Italia, ad esempio, ha un’influenza legislativa indiretta in quanto può opporre un veto alle leggi, salvo poi doverle approvare se tornano per la seconda volta.
Nel caso specifico del Pandemic Relief Program, questo ha la maggioranza alla camera, ma al senato incontra un certo ostruzionismo, dal momento che al senato si vedono rappresentati quegli Stati più piccoli e meno popolosi a maggioranza repubblicana.
Una proposta di legge, se pur necessaria e voluta da gran parte dei rappresentanti del governo, per poter passare necessiterà dell’approvazione di entrambe le camere;
conquista basilare di una democrazia liberale che però rallenta e osteggia un procedimento decisionale importante in un momento come quello imposto dalla pandemia attuale.
In Europa, l’altra estremità dell’asse portante delle democrazie occidentali, si vede un Parlamento europeo indipendente dal Consiglio europeo.
Il Parlamento europeo ha votato, lo scorso mercoledì 16 dicembre, a favore di un superamento della spinosa questione riguardante lo stato di diritto che bloccava l’adozione del piano Recovery Fund.
L’accordo raggiunto, tranquillizzando i timori di Polonia ed Ungheria, ha previsto che se pur non verrà meno un controllo serrato e determinato per quanto riguarda l’elargizione dei fondi europei,
in merito all’accertamento del rispetto dello stato di diritto, i tempi e le modalità per rientrare nei parametri saranno flessibili.
Anche qui si assiste ad un sistema di Stati che puntano all’assunzione di decisioni unanimi, il ché è spesso fonte di ritardi e rallentamenti nei processi decisionali.
A questo punto viene da chiedersi come sia stato possibile che Polonia ed Ungheria, dalla dubbia integrità morale in termini di trasparenza e liceità nell’operato delle amministrazioni interne,
si siano trovate ad essere membri dell’Unione europea e nella posizione di poter mettere un veto ad una clausola che salvaguarda quei principi democratici e garantisti che loro sembrano non aver rispettato a pieno nel corso della loro recente storia.
Entrambi i paesi, infatti, si sono ritrovati ad aver messo in crisi il principio di separazione dei poteri, riducendo il potere della magistratura a mera costola dell’esecutivo.
Conclusioni.
Tanto a Bruxelles quanto a Washington non sembrano essere chiari i centri nevralgici del potere decisionale.
Europa e Usa sono due sistemi democratici e garantisti che per loro natura prevedono il coinvolgimento simultaneo di più organi istituzionali, allo scopo di evitare accentramento di potere e per garantire la piena democraticità delle decisioni.
Con il venire meno degli Stati nazionali e l’emergere di realtà sovranazionali e multi-stato, il potere si è scisso in un pulviscolo di realtà istituzionali e rappresentative aventi congiuntamente voce in capitolo.
Tom Burns parla di “Sovranità diffusa” per sottolineare questa tendenza a decentrare i centri decisionali del potere e per descrivere come di fatto, lo Stato Nazione, sia tramontato con la fine della Guerra fredda, lasciando spazio ad organi statali e para statali.
I primi si sono sempre più trovati a dover negoziare il proprio margine di autorità con i secondi.
Europa e Usa sono insiemi di stati, tanto nell’uno quanto nell’altro non esiste un organo decisionale unico di governo.
Ogni decisione deve passare in rassegna un complesso processo ed iter amministrativo e burocratico atto a garantirne la rappresentatività e la legittimità.
In Europa e in Usa la decisione finale è il prodotto non di un’autorità governativa, ma di una negoziazione;
di un lungo processo di concertazione tra più realtà portatrici di interessi a volte contrapposti.
Al momento si assiste ad un’America in cui il partito repubblicano è polarizzato nell’ala del senato e ad un ‘Unione europea in cui il Consiglio europeo è ingabbiato dalla logica dell’unanimità ad ogni costo.
Unanimità difficile, quando a dover essere rappresentati sono tutti Stati fortemente differenti tra loro.
Alla base del problema europeo, forse, sta proprio la sua logica predominante fortemente inclusiva che ha portato, negli anni,
ad includere nell’Unione europea da un lato stati che non volevano entrarvi, vedi il Regno Unito,
dall’altro realtà dalla dubbia trasparenza ed integrità morale, vedi Polonia ed Ungheria.
Qualcuno propose di includere anche la Turchia di Erdogan nel benevolo disegno europeo.
Poi vennero le rivolte di piazza Taksim nel 2013, la cui repressione ha eguali solo nelle tragiche vicende della Cecenia e del Tibet.
Fu un male per i Turchi, purtroppo, ma senza dubbio un bene per l’Europa che si è risparmiata quest’ulteriore (per non dire sgradita) stelletta sulla bandiera.
Al momento la sfida che Europa e Usa si troveranno a dover affrontare, e dovranno farlo insieme, sarà accordarsi su come preparare il mercato mondiale alla situazione post-pandemica.
Se fino ad ora snellire i processi decisionali, e coordinare con efficienza ed efficacia i programmi organizzativi è stato difficile, domani dare una tempestiva risposta alla minaccia di una crisi del debito di livello mondiale potrebbe essere disastroso.
Bibliografia:
- Sergio Fabbrini, “Europa e Usa quanto è difficile decidere, Sole 24 ore del Domenica 20 Dicembre 2020
- Matteo Tacconi, ” Recovery Fund il veto di Polonia e Ungheria che mette a rischio l’Ue”, ISPI 17 Novembre 2020, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/recovery-fund-il-veto-di-polonia-e-ungheria-che-mette-rischio-lue-28300
- Camilla Lombardi, “Perchè Ungheria e Polonia hanno posto il veto al Recovery Fund”, da Wired, 19 Novembre 2020, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/recovery-fund-il-veto-di-polonia-e-ungheria-che-mette-rischio-lue-28300
- Francis Fukuyama, ” La fine della storia e l’ultimo uomo”, edizioni UTET, ristampa 2020, Milano.
- Carlo Mongardini, “La società politica vol.1”, ECIG Universitas, 2001, Roma.