“The F**K List” è un film prodotto e distribuito da Netflix che capovolge i dettami dei teen movie e tratta la forsennata corsa al successo negli Stati Uniti. La pellicola parte sollevando degli interessanti quesiti poi al momento decisivo manca di coraggio e si risolve nel modo più banale possibile. Tuttavia gli spunti di riflessione restano. Compiamo le scelte che desideriamo davvero compiere? La definizione di successo personale è uguale per tutti? È sempre lecito passare sopra a tutto per perseguire i propri obbiettivi?
I teen movies
“The F**k List” è il titolo irriverente di una commedia di Michal Duggan, già produttore e sceneggiatore di serie di successo come Miami Vice e Law & Order, che riprende il filone che mostra il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, che negli anni ’80 del XX secolo ha
visto brillare ai botteghini molti blockbuster. Gli ingredienti di base sono gli stessi: siamo all’ultimo anno delle scuole superiori,
il protagonista da un lato deve ottenere l’ammissione a un’università prestigiosa al fine di garantirsi una grande carriera
professionale, e dall’altro conquistare la bella di turno. Una bella, con il volto di Madison Iseman che anche qui è angelicata ma
messa su una brutta strada da un destino avverso che l’ha inizialmente spinta tra le braccia di un “cattivo ragazzo”.
Un buon esempio di questi film più essere All The Rights Moves (Il Ribelle) di Michael Chapman del 1983 con Tom Cruise
protagonista. In questo caso il lasciapassare del giovane eroe per le università che contano è la sua bravura nel football (negli
Stati Uniti si possono vincere borse di studio anche per meriti sportivi).
Il sistema universitario americano
Per comprendere il contesto c’è da spiegare qualche elemento del sistema scolastico statunitense. Le scuole superiori
generalmente non hanno indirizzi specializzati come in Europa e le uni verità si dividono in pubbliche e private: le prime hanno
scarso prestigio, mentre le seconde sono estremamente selettive ha non rette altissime: la maggior parte degli studenti vi
accede perché proveniente da famiglie facoltose dove spesso un genitore è un ex studente che ha continuato a finanziare
l’ateneo con donazioni con il fine di lastricare la strada per la discendenza. Tuttavia c’è uno spiraglio per i non eletti eredi di
queste neoaristocrazie: avere una media di voti estremamente alta. Le otto università più prestigiose sono associate nell’Ivy
League e stanno tutte nella East Coast, dove si trovano i 13 stati fondatori e dove si stabilirono le più antiche famiglie inglesi
dell’alta borghesia. Università come Harvard e Yale sono non sinonimo di esclusività in tutto il mondo ma stanno puntualmente
ai vertici mondiali delle classifiche delle migliori università per ricerca accademica.
Altre prestigiosissime università fuori da questa consociazione sono di natura scientifico-tecnologica come Il CALTECH (California Institute of Technology) e il MIT (Massechussets Institute of Technology).
Si tratta insomma di una realtà marcatamente classista ma che in qualche modo lascia uno spiraglio alla meritocrazia.
Come il sistema educativo italiano, il sistema educativo statunitense presenta i suoi problemi e le sue contraddizioni.
Storia di un’insoddisfazione
Brett non ha ancora compiuto 18 anni e il suo futuro sembra spianato: sette delle otto università della già citata Ivy League
hanno accettato la sua domanda di ammissione. Quello che è stato il sogno di una vita dei suoi genitori sembra ormai a un
passo dal compimento. Eppure il giovane, soprannominato dai suoi amici, “il ragazzo più noioso d’America”, non sembra affatto
entusiasta. Si scopre così che ha dovuto ingoiare svariati rospi, oppresso da quello che loro volevano per lui, genitori che
proiettano le loro aspirazioni e i loro desideri sul figlio. Da qui nasce la “fuck list” uno sfogo dove Brett elenca tutte le cose che
avrebbe potuto fare e non ha fatto, con l’intento dichiarato di realizzarle tutte, una per una.
Nel frattempo partecipa a una bravata con alcuni compagni dove viene fatta saltare in aria la sua scuola le prestigiose
università non lo vogliono più ammettere, mentre ad aggravare la situazione accade che il suo video, inizialmente rivolto a un
ristretto gruppo di amici, per la potenza dei social media, diventa virale.
Il confuso ragazzo diviene così il portavoce delle insoddisfazioni di una generazione di giovani che fatica a far valere la propria
voce, oppressa da aspettative e condizionamenti esteriori, mentre internet e la potenza dei social media diventano un
moderno deus ex machina per gli sceneggiatori bisognosi di trovare una risoluzione alle loro storie.
I lati oscuri della società competitiva
Si mette in evidenza come l’arrivismo generi mostri: la madre del protagonista, con il beneplacito di suo marito, è disposta a
prostituirsi con l’amico di famiglia influente in cambio dell’ammissione del figlio, mentre Kayla, la ragazza di cui il protagonista è innamorato, accetta una scialba relazione pur di garantirsi delle possibilità di carriera dove modella, dove la attenderebbero
altri compromessi simili. Fino a quando il fine giustifica i mezzi? Sotto una patina da film per famiglie lati oscuri della società
competitiva occidentale vengono comunque denunciati.
La stessa madre di Brett poi ammette che dopo la nascita del figlio ha rinunciato alle sue aspirazioni, vivendo in funzione del
suo ruolo di madre e non più come essere umano, proiettando le sue aspirazioni nella vita del figlio, per poi capire che ognuno
non debba smettere di vivere la propria vita, non ultimo per il bene altrui.
Realizzarsi significa soltanto guadagnare più possibile o perseguire le proprie passioni? Dando retta al buon senso
bisognerebbe prima assicurarsi il proprio sostentamento e la propria indipendenza per poi successivamente perseguire sogni e
passioni, come scalando una piramide. Tuttavia trovare un bilanciamento non è facile.
Un’occasione sprecata
Queste sono le questioni che pone il film. Questioni piuttosto interessanti, peccato che tutto venga banalmente vanificato con
un idilliaco “giro intorno al mondo”, buttato lì a caso. Uno sviluppo e un finale scialbo e banale, quasi che gli autori fossero
spaventati dal trattare le anticonvenzionali e ostiche questioni di partenza, tirandosi indietro sul più bello, quando c’è da
prendere di petto i temi introdotti.
Le ripetute scene in piscina del protagonista son o un chiaro omaggio a uno dei più noti film sull’insofferenza giovanilistica:
“Il Laureato” di Mick Nichols, con Eli Brown in occhiali da sole placidamente a riprendere le pose di Dustin Hoffman nel film che lo consacrò a mito.
Tuttavia le somiglianze con il capolavoro della New Hollywood finisce qui: significativamente il padre di Brett, interpretato da Jetty O’Connell, dice al figlio che neanche lontanamente è Dustin Hoffman.
Si tratta di un’occasione mancata che si risolve in un film d’intrattenimento e poco più.
Tuttavia quel poco, se osservato con attenzione, può far riflettere.
Capire quello che si vuole veramente è sì l’unica cosa davvero giusta da fare, ma farlo non è certo qualcosa da prendere alla leggera, come invece sembra purtroppo mostrare un film che doveva puntare più in alto.