Hong Kong è in questi giorni al centro dell’interesse geopolitico per le presunte ingerenze di Pechino nella sua politica nazionale.
Il nocciolo della questione riguarda la decisione, presa dal governo cinese di Pechino, di stabilire una nuova legge di sicurezza nazionale per Hong Kong.
Cosa prevede la legge nazionale
È il Congresso del governo cinese ad aver incaricato un comitato per mettere al bando, nella provincia autonoma di Hong Kong, ogni episodio di sovversione, terrorismo e violenza.
Queste misure sarebbero positive se non fosse che includono, nel novero delle eventuali operazioni terroristiche e sovversive, anche l’ingerenza straniera negli affari di Hong Kong.
La questione storica in ballo
A questo punto ritorna a galla la lontana, ma attualissima questione, della situazione dell’indipendenza di Hong Kong dalla Cina.
Molti si saranno chiesti che differenza ci sia tra Pechino e Hong Kong
e perché, spesso,
se ne parli come fossero due capitali di uno stesso Stato,
o se addirittura una delle due
non fosse neppure Cina.
La risposta complessa, a questo amletico quesito, è da ricercarsi nel lontano 1898 quando la dinastia cinese dei Quing
stipulava con il Regno Unito la Seconda Convenzione di Pechino.
Il governo cinese concedeva di fatto in affitto la regione di Hong Kong al governo britannico per 99 anni, e cioè fino al 1997.
A mezzo della Prima Convenzione di Pechino, nel 1860, il Regno Unito aveva già acquisito i
diritti coloniali dalla Cina sulla penisola di Kowloon
e con il trattato di Nanchino del 1842, perfezionato con la Seconda Convenzione di Pechino, anche sull’isola di Hong Kong.
Assieme all’isola e alla penisola il Regno Unito aveva ricevuto in affitto altri territori che sarebbero ritornati alla Cina nel 1997.
Il fatto storico si fa caso geopolitico
Nel corso di quasi 150 anni di amministrazione britannica, i territori cinesi affidati alla bandiera inglese avevano di fatto sviluppato
un sistema capitalistico che era ben lontano dal modello comunista della Cina.
Ad un tratto, precisamente negli anni ’80, la Cina assisteva alla politica di apertura di Deng Xiao Ping.
Questi, oltre che recarsi negli Stati Uniti per incontrare il Presidente Jimmy Carter, riaprendo i rapporti con USA e Giappone,
decretava nel 1984 che la questione degli affitti alla Gran Bretagna sarebbe stata interpretata secondo la logica ” Un Paese due sistemi”.
Questa asserzione avrebbe rappresentato per la Cina l’intento di salvaguardare i rapporti diplomatici con l’Occidente
preservando la cultura europea, di fatto impiantatasi ad Hong Kong e alle altre province affidate ai Britannici,
ma potendone al contempo rientrare in possesso.
Cosa ha rappresentato la provincia autonoma di Hong Kong per la Cina
L’affermarsi di una politica autonoma in alcune provincie cinesi, nel corso della seconda metà dell’Ottocento,
è stata una conseguenza diplomatica delle due Guerre dell’Oppio, che hanno obbligato la Cina a cedere alla politica coloniale britannica.
Questi fatti hanno inevitabilmente comportato una breccia nell’ideologia marxista-leninista del comunismo cinese.
Se ad un tratto si approdò alla politica di apertura Deng, e a quel disegno progressista attuato da Xin Jin Ping,
nella “Nuova via della seta“, fu proprio grazie all’installarsi del modello liberal-democratico dell’Occidente all’interno del territorio cinese.
Le conseguenze nella questione odierna
Ad oggi, quando il 27 Maggio scorso sono state annunciate le nuove leggi sulla sicurezza nazionale, Stati Uniti ed Europa
hanno interpretato la politica di Pechino come ingerente negli affari interni di Hong Kong.
Quest’ultima è geograficamente, e legalmente, nel territorio Cinese,
ma da oltre cento anni di cultura occidentale e di fatto autonoma dalla politica di Pechino.
- Estensione delle norme di sicurezza nazionale di Pechino anche ad Hong Kong
- Fine del sistema legislativo autonomo dell’isola che abbraccerebbe di fatto la legislazione di Pechino.
Sono essenzialmente queste due le novità che hanno causato rivolte e proteste in tutta la provincia autonoma
ed acceso il livore con la capitale cinese.
Già dal 2003 il comandante in capo della provincia autonoma di Hong Kong, l’armatore Tung,
aveva tentato di far passare una norma che aprisse la strada alla legislazione di Pechino nell’isola.
Proteste e sommosse lo costrinsero a dimettersi ed oggi si è ripresentata la spinosa questione in maniera decisamente più risoluta ed ingerente.
Le sommosse di questi giorni sono divenute particolarmente accese non solo perché Pechino sta di fatto imponendo la propria politica mettendo in discussione l’autonomia dell’isola,
ma anche per via di una legge, non ancora discussa in Parlamento,
volta a punire con pesanti sanzioni eventuali insulti o mancanze di rispetto per l’inno nazionale cinese.
Anche per quanto concerne il discorso circa la tutela di Hong Kong dall’ingerenza straniera potrebbe essere una misura che, in futuro e una volta ristabilito il controllo del governo cinese sull’isola, sarà avocata per escludere quanto rimane dell’influenza occidentale sull’isola.
Chiaramente la questione è stata colta dagli USA come pretesto per inasprire i propri animi contro la Cina.
Una prova tangibile di come il confronto ideologico sia un aspetto insito nella cultura statunitense
che cercherà sempre di trovare una ragione nella propria politica estera, setacciando il globo alla ricerca di un nemico da combattere.
La stessa NATO, alleanza militare tra democrazie liberali, è sempre andata in crisi quelle rare volte che mancava un nemico da combattere.
Anche questa volta, dunque, gli USA riusciranno a trasporre le logiche dei film western alla realtà quotidiana.
Del resto, e la Storia insegna, per gli USA la macchina economica continua ad essere una questione d’industria; sia essa bellica, cinematografica, finanziaria, o petrolifera.
Al mondo non resta che augurarsi che questi episodi non degenerino nella chiusura della “Nuova Via della Seta“,
arrestando l’avanzata di un colosso che anni fa ha scelto di aprirsi, se pur gradualmente e lentamente, al consumismo e al mercato globale:
un invitato che è stato benvoluto a tavola finché ha fatto comodo, ma che ora sta diventando troppo ingombrante per più di un attore dello scenario geopolitico internazionale.
La speranza è riposta nel buon senso di quanti, da parte europea, cinese e statunitense, capiranno che ormai il “Dragone“
ha spiccato il suo volo e che, se si vuole crescere in un mercato florido e prospero per tutti, bisogna sforzarsi di dividere la fetta
perseguendo nuovi equilibri di cui prima le grandi potenze non avvertivano la necessità.
Solo così la “torta economica mondiale” potrà essere più grande e gustosa per tutti.
Bibliografia:
- La Stampa, 28 Maggio 2020, “Pechino dà il via libera alla legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong: ecco cosa prevede e perché è diventato un caso internazionale” https://www.lastampa.it/esteri/2020/05/28/news/pechino-da-il-via-libera-alla-legge-sulla-sicurezza-nazionale-a-hong-kong-ecco-cosa-prevede-e-perche-e-diventato-un-caso-internazionale-1.38900757
- Eurasia: rivista di studi geopolitici, di Claudio Mutti, 24 Giugno 2019, “La nuova via della seta”, https://www.eurasia-rivista.com/la-nuova-via-della-seta-editoriale/
- ISPI Istituto superiore di politica internazionale, di Elisa Sciorati,25 Maggio 2020, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/hong-kong-torna-piazza-contro-i-piani-di-pechino-26284