Sicurezza ed economia dello Stato sono i pilastri del consenso; ancor prima che garantire un modello democratico.
Un popolo resterà fedele all’autorità di governo se questo riuscirà ad essere percepito come legittimo.
La legittimità è quel fattore chiave che tiene compatto il potere e mantiene il controllo in un Paese.
Tecnicamente una democrazia è decisamente più debole rispetto ad una qualsiasi forma di totalitarismo.
Quest’ultimo mantiene una politica di potenza serrata e non lascia spazio ad opposizioni e dissenso.
La storia ha mostrato, così come la quotidianità che si vive ogni giorno, che spesso certe misure che sarebbero necessarie
al mantenimento dell’ordine, o al superamento delle crisi,
non possono essere adottate o vengono ritardate perché non incontrano il favore del popolo o dei gruppi influenti.
In uno Stato di diritto sono molte le voci in capitolo;
dai sindacati, all’opposizione, alle manifestazioni di piazza, alle associazioni di categoria.
Il pluralismo e l’associazionismo sono tra le migliori e più significative conquiste dello Stato liberale,
unitamente al riconoscimento e alla garanzia dei diritti di libertà fondanti la democrazia.
Spesso capita, tuttavia, che una crisi non venga gestita con la dovuta risolutezza, ne è un esempio la recente pandemia da Coronavirus,
la quale avrebbe forse richiesto misure più serrate e un approccio più deciso che avrebbe calpestato ancor più i diritti di libertà.
Non a caso in recenti interviste lo storico Alessandro Barbero ha affermato che in tempo di gravi crisi lo Stato diventa una dittatura,
e lo fa per risolvere problemi che non potrebbe neanche pensare di affrontare nella rosea gabbia della democrazia.
Costringere migliaia di persone a restare segregate in casa con la minaccia di ripercussioni coercitive e pecuniarie
è stata una necessaria negazione dei diritti di libertà, così come la chiusura forzosa di numerose attività che hanno incontrato, o rischiano, il fallimento.
Forse tali misure dovevano essere molto più dure, ma ad un certo punto è stato necessario recuperare il consenso allentando la morsa del potere e della forza.
Il potere non può esagerare nel prendere decisioni senza tener conto delle varie opinioni ed esigenze rivendicate da tutte le parti coinvolte, che divengono i centri del consenso.
Perché allora la democrazia è preferibile alla dittatura e, ogni forma di totalitarismo di cui la storia è stata teatro e spettatore al contempo, è sempre fallito?
Vilfreto Pareto affermava, nella seconda metà dell’800,
che uno Stato governa necessariamente
con la forza e il consenso contemporaneamente.
A volte si serve più dell’uno che dell’altro ma è impensabile, anche per la più rigida delle dittature, prescindere da una base se pur minima di consenso.
Una democrazia liberale è più debole per definizione rispetto ad un modello totalitario perchè, per sua natura,
a mezzo della concessione e della garanzia dei diritti di libertà,
i quali comportano una tutela ed un riconoscimento della sfera individuale di ciascuno,
finisce con il rappresentare una limitazione al potere dello Stato.
E’ dunque preferibile
vivere in uno Stato democratico
ma debole?
La risposta è sicuramente affermativa poiché alla base dell’empirico fallimento di tutte le forme totalitarie nel mondo,
nel corso della storia, risiede la loro miope e distopica convinzione di poter durare per sempre.
A questo punto entrano in gioco il fattore sicurezza ed economia dello Stato.
Non è il fatto di vedersi concessi diritti e libertà che porta un gruppo di persone ad essere fedele ad un’autorità,
riconoscendone il potere come legittimo, bensì quanto questo potere riesca a garantire stabilità circa la sicurezza e l’economia dello Stato.
Il popolo ha cominciato a vedere necessarie le dittature quando ha visto minacciata la sicurezza e in crisi l’economia dello Stato.
Ecco che il comunismo si è affermato in Russia per dare una risposta al malcontento causato dagli Zar,
il fascismo è stato favorito in Italia da cattolici e liberali, che temevano l’ascesa del comunismo e vedevano
un Paese affranto per il fallimento della politica coloniale di Crispi ed economicamente arretrato.
Il nazismo ha dato, con l’antisemitismo, un colpevole al suo popolo per i problemi che la Germania stava affrontando.
Tutti questi problemi e queste crisi, che hanno reso terreno fertile per l’affermarsi di modelli totalitari,
hanno tutte riguardato gli aspetti della sicurezza e dell’economia dello Stato.
Al contrario le forme di Stato totalitario, tanto di destra quanto di sinistra,
hanno sfruttato il proprio potere per limitare o controllare la sfera privata allo scopo di
creare società egualitarie, perseguire una politica di potenza rafforzando gli eserciti, realizzare una rapida crescita economica, ricorrendo a nazionalizzazioni e pianificazioni.
In altre parole tutto quello che si perde in termini di
libertà individuali,
deve essere riguadagnato in termini di
raggiungimento di obiettivi nazionali.
Ecco dunque che l’imperialismo della Germania nazista dava fondamento, con la sua promessa della costruzione di un grande Impero,
in linea con la natura e le aspirazioni del popolo tedesco, ad un obiettivo valido in termini di legittimità.
Allo stesso modo, nell’Unione Sovietica, il progetto di una società fondata sull’economia pianificata
prometteva a tutti di godere del proprio lavoro e la rinuncia ad alcuni diritti individuali
era venduta come il prezzo da pagare per non finire nelle condizioni dei contadini dei soviet durante il periodo degli Zar,
in cui la carestia e la fame erano decisamente peggiori rispetto alle promesse della dittatura comunista.
Il problema della forma totalitaria subentra proprio quando queste promesse vengono meno.
Nel momento in cui la percezione da parte dei sottomessi, è che la sicurezza e l’economia dello Stato sono messe in discussione, crolla la legittimità.
Quest’ultima è da intendersi come sinonimo di riconoscimento di una suprema istanza, ossia l’autorità, nel potere costituito.
Legittimità non è necessariamente giustizia sociale, legalità,accettazione in senso stretto, o diritto.
Come afferma anche Socrate nella Repubblica di Platone,
perfino in una banda di ladri deve esserci
un qualche principio di equità
nella divisione del bottino.
La legittimità è pertanto fondamentale anche nella dittatura più becera e sanguinaria.
Nel corso della storia dei popoli, si potrebbe affermare, tutti i regimi totalitari sono falliti a vantaggio delle democrazie
perché in quest’ultime, sono proprio i diritti di libertà a rendere più sopportabili gli eventuali ed inevitabili fallimenti
nel raggiungimento degli obiettivi di politica nazionale.
Sono molti quei regimi, nell’Europa del Sud e nell’America latina, ad aver avviato dei processi di transizione democratica senza esagerati spargimenti di sangue.
Ne è un esempio la dittatura in Portogallo che nel 1974, se pur vide un colpo di stato ai danni del regime di Caetano,
era ormai invasa da partiti politici, una società civile sorprendentemente autoconsapevole, sindacati e Chiesa cattolica.
Questo pluralismo, unito al gruppo armato Das Focas Armadas, organizzato dai generali ormai infedeli al regime, aprirono la strada alle forze della Cia che diedero il colpo di grazia finale al regime.
Il passaggio alla democrazia in Spagna avvenne pressoché pacificamente in seguito alla morte di Francisco Franco,
essendo ormai un inevitabile passaggio obbligato per un Paese calato nel contesto delle democrazie liberali europee.
In Grecia e in Argentina il passaggio alla democrazia avvenne nel 1974 e nel 1983 e i militari non vennero cacciati dal governo con la forza.
Riconobbero delle divisioni interne ai loro movimenti armati e, comprendendo l’ormai insensatezza del regime,
cedettero il testimone all’autorità civile che fissò elezioni democratiche.
Nella stessa Urss il regime crollò nel 1991 sotto il suo stesso peso in seguito alla caduta del muro di Berlino nel 1989 e al Solidarnosc polacco del 1980.
In tutti questi casi il crollo del regime al comando fu una conseguenza di un fallimento in politica estera o di un mancato obiettivo di politica interna.
Il venir meno della legittimità
in un paese retto da regime totalitario causa, da parte del popolo,
l’accorgersi di essere sotto
l’egida di una dittatura.
Georg Simmel nel “Dominio” si interroga circa le ragioni che spingano il popolo a sottostare all’oppressione senza reagire.
Il sociologo tedesco giunge alla conclusione che spesso gli sforzi richiesti da una rivolta sono percepiti talmente superiori ai benefici che si avrebbero, per altro senza garanzie, nel caso di un eventuale successo.
Come Willie il Coyote, protagonista del famoso cartone animato della Warner Bros, precipita nel vuoto solo dopo essersi accorto di stare sospeso in aria,
così un popolo si accorge di avere bisogno dei propri diritti quando sta male e quando ha la percezione che siano state messe in pericolo la sicurezza e l’economia dello Stato.
bibliografia:
- Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Ed. UTET, Milano, 2020
- Georg Simmel, Il dominio, Bulzoni Ed., Roma, 2017
- Carlo Mongardini, La società politica vo.1, Ecig Universitas, Roma, 2001
- Vilfreto Pareto, The transformation of democracy, Transaction Books,New Brunswick, U.S.A, 1984