L’omicidio di George Floyd, l’altro volto del “Federalista”

L’omicidio di George Floyd, l’altro volto del “Federalista”

L’afro-americano George Perry Floyd moriva Il 25 Maggio di quest’anno, a causa della violenza della polizia statunitense e dei suoi metodi ingiustificati, amorali e brutali.

Il 28 Maggio del 1788 usciva una raccolta di 85 articoli e saggi di diritto, politica, società ed economia, esprimendo i valori ugualitari e democratici della nascente società statunitense. Furono redatti da John Jay, Alexander Hamilton, Thomas Jefferson, James Madison. Tragici episodi come questo dimostrano che tali valori non vengono ancora pienamente applicati.

Il Federalista” venne pubblicato con lo scopo preciso di convincere i membri dell’Assemblea dello Stato di New York a ratificare la Costituzione degli Stati Uniti d’America.

Quest’ultima sarà ratificata di lì a poco ed entrerà in vigore nel 1789.

George Floyd
The federalist

 

Un esempio di democrazia e riconoscimento dei diritti di libertà, cui il “Federalista” fa tutt’oggi da guida interpretativa.

Sorge spontaneo chiedersi come mai un Paese, emblema della democrazia, 

nato dall’azione congiunta di uomini illuminati, possa scivolare in simili episodi di barbarie.

Nel 1791 vennero aggiunti i primi 10 emendamenti alla Costituzione ,

riconducibili in un corpus unico chiamato Bill of Rights: Dichiarazione dei diritti.

Scopo della Carta dei diritti era quello di limitare l’ingerenza del potere federale nella vita dei cittadini statunitensi.

L’idea di avere un potere forte che accentrasse il controllo, contro quella di lasciare massima autonomia agli Stati federati, era oggetto di accesi dibattiti.

Scopo di questi diritti sarebbe stato quello di tutelare i cittadini da eventuali derive tiranniche da parte dello Stato federale.

George Floyd
Dichiarazione di indipendenza

 

A far riflettere è da sempre il secondo emendamento, che acconsente alla detenzione  di armi anche da parte di privati cittadini.

La massima estremizzazione del concetto di libertà ha portato i padri costituenti statunitensi

 a ritenere doveroso, per uno Stato, mettere i propri cittadini nelle condizioni di proteggersi autonomamente.

Questa misura poteva essere giustificata ai primi del ‘900 quando il territorio americano era sconfinato;

pieno di insidie e di minacce, come ad esempio gli Indiani nativi.

Una società caotica ed assorbita nello stressante meccanismo del sistema globalizzato, dovrebbe arrivare a considerare l’idea di limitare uso e detenzione di armi da parte dei privati.

Proprio i nativi Americani, segregati nelle riserve in nome del Destino manifesto,

potrebbero essere stati nel tempo alla base di questo odio razziale insito nella società statunitense.

Successivamente i nativi, e gli schiavi neri importati dalla madrepatria, per lavorare gli sconfinati campi del Sud,

sono entrati a far parte della società e ad occupare anche ruoli di prestigio,

in seguito a sanguinose lotte per affermare i propri diritti paritari.

George Floyd
Indiano Geronimo

 

George Floyd è solo l’ultimo degli esempi di violenza e razzismo negli Stati Uniti.

Il razzismo negli USA è storicamente legato al periodo dell’espansione coloniale

quando erano negati i diritti ai nativi e alle minoranze etniche.

Gran parte del territorio degli Stati confederati d’America era economicamente caratterizzato dalle piantagioni di cotone.
 
Presso queste la manodopera impiegata era di tipo schiavista e sarà abolita solo nel 1865, in seguito alla Guerra di secessione.

Obiettivo del Nord America, rappresentato dalle forze unioniste,

era quello di preservare l’Unione ed abolire un sistema eticamente in contrasto con i valori della Costituzione.

Per gli Stati confederati del Sud, meno industrializzati e più agricoli,

la schiavitù rappresentava manodopera imprescindibile per la propria economia arretrata rispetto al Nord.

Motivazioni alla base dell’odio razziale che porterà, nel tempo, ad episodi come quello di cui è stato vittima George Floyd,

 

potrebbero essere ravvisati anche nel progressivo

riversarsi degli ex-schiavi

neri nel Nord America.

 

Era infatti questo il timore che albergava negli animi di molti Democratici e Repubblicani

e che nel tempo si è cristallizzato nell’anima dello statunitense bianco medio:

la paura di vedersi invaso dalle minoranze etniche.

Gli stati del Sud, storicamente, sono pertanto da sempre più inclini a vedere le minoranze etniche come razza inferiore e da sottomettere,

mentre al Nord essi sono percepiti come “invasori”.

Nel corso della Storia di emancipazione delle minoranze in America, assistiamo a personaggi di spicco come l’islamico e attivista afroamericano

El-Hajj Malik El- Shabbazz, comunemente noto con il nome Malcom X 

che si batté, alla metà del ‘900, per i diritti umani.

George Floyd
Malcom X

 

La scelta di mettere una X al posto del cognome è dovuta proprio al fatto che gli afroamericani

si ritrovavano spesso ad aver ereditato il proprio cognome dai “padroni” bianchi dei loro avi.

La X è un aperto rifiuto di questa prassi

e anche un tentativo di voler genericamente rappresentare la totalità identitaria della propria razza,

incorporandone la causa nella sua persona.

Negli stessi anni, precisamente nel 1955 l’attivista afroamericana Rosa Louise Parks

diede vita al boicottaggio dei bus di Montgomery rifiutandosi di alzarsi per cedere il suo posto a un bianco.

Tra il 1950 e il 1960 Martin Luther King si batteva per i diritti umani

incontrando il consenso dei Democratici e della famiglia Kennedy.

George Floyd
Rosa Parks


La violenza avvenuta nel Minnesota ai danni di George Floyd altro non rappresenta che gli Stati Uniti d’America.

 

Una  Nazione piena di contraddizioni, nata sulla base di principi etici e morali profondi, che animarono i pionieri delusi dalla madrepatria inglese.

Pionieri che videro nell’espansione del Nord-Ovest una missione divina,

cui diedero nome di Destino Manifesto, ma che non seppero realizzare nella sostanza dei suoi presupposti morali.

Le intenzioni alla base del “The Federalist” e della Costituzione di Filadelfia

non sono mai entrate nella prassi comportamentale di un popolo di base razzista e incline alla violenza.

La realtà empirica della Storia americana porta con se stessa il retaggio del colonialismo britannico cui si voleva in parte fuggire.

George Floyd ha mostrato al mondo intero, con la sua morte,

che gli Stati Uniti sono un esempio, per il mondo, di come la democrazia dovrebbe essere,

ma non di come essa debba essere realizzata nella sostanza.

Resta comunque da sperare in un futuro in cui quei pilastri etici e morali,

sulla cui base il ”Federalista” ha tentato di fondare la società americana,

divengano anche effettivi e concreti nella prassi e nella vita di tutti i giorni.

Il problema nasce, comunque, quando certi principi vengono messi alla base di un modello di società,

ma sono per natura estranei alla cultura che costituisce quella società.

Gli statunitensi sono gli eredi dell’Impero Britannico, di cui tendono a incarnare lo spirito colonialista.

Forse il problema nasce proprio dal fatto che, sia l’uomo medio, sia quello distinto dell’alta società, hanno lo stesso

atteggiamento di fondo, anche se il primo lo esprime con ferocia dando sfogo alla sua frustrazione, il secondo in maniera più subdola e ipocrita. 

Gli Stati Uniti sono un Paese che vive di laceranti contraddizioni, ma dovrebbe cominciare a guardare effettivamente agli

straordinari valori civili e libertari di cui si è autoinvestito come portatore, invece che continuare nei fatti a tenere

l’atteggiamento dispotico e pregiudiziale del suo controverso predecessore, il grande Impero Britannico.

George Floyd
Martin Luther King
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Alessandro Gatti

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