La ripresa economica è storicamente determinata da quanto uno Stato spende per accendere il motore dell’Economia.
In molti si stanno chiedendo se mai in Italia e, in misura diversa, nel resto dell’Europa, sarà mai possibile rivivere il boom economico.
Quello che bisognerebbe domandarsi è che fine abbia fatto lo Stato Liberale, quello delle grandi idee,
dei progetti di società e delle élite di notabili, come li chiamò Max Weber, in grado di amministrare la cosa pubblica.
Lo Stato liberale era accentrato sotto il profilo burocratico ed amministrativo
e aveva preso corpo grazie al rovesciamento, dapprima in Francia, della casta nobiliare, del clero e del dispotismo regio dell’Ancien Regime.
In Italia era stato diverso;
quì la borghesia aveva reagito allo straniero occupante e unificato gradualmente il Paese liberandolo dai vari occupanti che, a parte lo Stato pontificio,
erano per lo più stranieri:
austriaci Asburgo-Lorena e famiglia D’Este e i Borbone di origine francese.
Come ha sancito Eric J. Hobsbawm in “Il trionfo della borghesia”, quest’ultima “rimase prigioniera sotto l’egida del popolo”.
“La borghesia fu un prodotto delle rivoluzioni popolari
e fondò una democrazia che non riuscirà
mai ad evolversi in socialismo”.
Il popolo, di fatto, dovrà attendere il Secondo Dopoguerra per essere pienamente coinvolto nella cosa pubblica.
La corruzione del proposito iniziale di chiamare in causa il popolo e di garantire uguaglianza sociale
sta forse nell’aver messo da parte, progressivamente, le idee liberali, disattendendo le promesse e erodendo progressivamente, nella realtà fattuale, quei diritti concessi.
Queste erano idee elitarie ed illuminate che, se pur pensarono di poter comprare la forza lavoro e dominare lo strumento rivoluzionario a proprio piacimento,
riuscirono a dare all’Italia quella dignità per chiamarsi Nazione.
Oggi i governi degli ultimi trent’anni hanno pensato di sostituire quelle idee con i populismi.
Ecco che si pensa nel pieno delle crisi economico finanziarie, come quella esplosa nel 2008, o in crisi pandemiche come quest’ultima da Coronavirus, di reagire dando al popolo quello che chiede:
denaro.
Ma come si può far piovere denaro se non si creano quelle strutture logistiche
e quegli apparati burocratici che possano mettere il Paese nelle condizioni di fabbricare denaro?
E’ certamente positivo creare misure di ammortizzamento sociale elargendo fondi per aiutare la ripresa con misure dirette di sostegno economico a imprese e famiglie.
Soprattutto in un momento particolare di lockdown causato da Coronavirus aiuti diretti, quali i 600 euro elargiti dall’INPS a chi ha visto ridotto notevolmente il proprio stipendio,
o i 25000 euro di prestito massimo usufruibile dalle imprese a tassi agevolati, sono più che giusti.
Sono piuttosto inutili e forieri di sprechi altre forme di pseudo aiuto diretto, come i 150 euro per i single e i 500 per le famiglie da spendere in vacanze.
Che vacanza si fa con simili somme?
Per non parlare del reddito di cittadinanza che non crea lavoro, ma mantiene chi non lavora e basta.
Si danno soldi a chi non lavora, ma se chi non lavora apre un’attività lo si massacra di tasse fin dal primo anno, per farlo chiudere e dargli 800 euro al mese dalle tasse di chi lavora.
Nel secondo dopoguerra Franklin Delano Roosvelt pensò al New Deal
per finanziare la ripresa economica,
incentivando opere pubbliche in grado di dare lavoro e mettere così in moto l’economia.
Roosvelt non diede quei soldi direttamente ai cittadini sotto forma equivalente agli odierni bonus vacanza, reddito di cittadinanza, bonus bebè.
Dove siano quindi le politiche sociali viene da chiederselo:
nelle idee intelligenti o nelle menzogne demagogiche? Un ammortizzatore sociale intelligente e di ben altro spessore potrebbe essere quello di abbassare l’IVA o detassare completamente un’impresa durante il suo primo anno di attività, così che pagherà le tasse per sempre e non solo per un anno prima di chiudere.
Far partire la filiera produttiva in maniera forte e organizzata, sostenendo imprese e alleggerendo il lavoro dalla pressione fiscale.
Ci sono voluti l’affondamento della nave Concordia
e il crollo del ponte Morandi per permettere
a cantieri, professionisti, operai e tecnici di lavorare
e in pochi giorni risolvere il problema.
Paradossalmente queste due tragedie hanno dato lavoro,
smosso l’economia e in parte accennato che una ripresa economica è possibile.
A questo punto si potrebbero partorire idee illuminate per realizzare quello che serve,
in termini di infrastrutture e opere pubbliche, dando lavoro e valore alle persone, senza aspettare l’ accadimento funesto di tragedie.
Parlamentari che si riducono gli stipendi, denaro che piove su evasori fiscali aventi diritto di sussidi solo in virtù di quanto dichiarano e non in base a quanto effettivamente guadagnano.
sono questi solo dei “giochetti populisti” e non degli ammortizzatori sociali intelligenti.
Misure populiste per raccattare voti dando solo la parvenza di un impegno per risolvere i problemi reali, e non investimenti per riaccendere il motore dello sviluppo e della ripresa economica.
Nello Stato liberale si compiva il miracolo di unire l’accentramento burocratico e amministrativo dello stato assoluto, con i principi evoluti dello Stato di diritto democratico.
In seguito si è pensato che democrazia fosse decentramento e totale autonomia delle regioni italiane dal potere statale.
Ecco che si è approdati alla riforma del titolo V della Costituzione;
ad una potestà legislativa concorrente tra stato e regioni
in cui quest’ultime avessero una così estesa potestà regolamentare da vederla
residuale rispetto ai pochi aspetti riservati allo Stato e delineabili, proprio per la loro esiguità, nel testo costituzionale.
Garantire una ripresa economica dovrebbe significare che è lo Stato a gestire le iniziative di spesa e le regioni, in semplice autonomia organizzativa e non decisionale, realizzino i dettami strategici dello stato.
In un contesto difficilmente controllabile, poiché confusamente decentrato, appare alquanto complesso proporre iniziative proficue.
In una situazione di emergenza come quella profilata da una crisi,
il Governo dovrebbe garantirsi l’ unitarietà del comando ed accentrare maggiormente il potere.
Soluzioni idonee alla ripresa economica dovrebbero essere favorite da una capacità di spesa risolutiva da parte dello stato.
Lo Stato di diritto è sorto sulle nobili fondamenta del pensiero liberale ed illuminista, ma è degenerato con la sua rivisitazione, verso il 1980, nella forma del neoliberismo.
Corrente propugnata dagli Stati Uniti, nella persona di Ronald Reagan e nell’ Inghilterra di Margaret Tatcher,
il Neoliberismo ha fatto
leva sulla totale
e progressiva
sottrazione allo stato
della Cosa Pubblica.
Togliere allo Stato il controllo per affidarlo alle lobbies private, e nel caso italiano alle Regioni,
con cui il potere avrebbe negoziato le facoltà del controllo è stato, semplicisticamente e nella sostanza, il frutto di questa visione.
Negli anni ottanta del secolo scorso è finito il modello dello Stato pianificatore e interventista.
Il neoliberismo venne venduto dalla propaganda
come la
soluzione ideale che aprisse
la strada alle iniziative private e
favorisse al meglio la libertà del singolo,
realizzando il sogno americano.
Per aggraziarsi il favore delle aziende private finanziatrici, Reagan professò una politica estremamente liberista e focalizzata sulla deregolamentazione che non darà i risultati sperati.
In tutto il mondo quegli che erano stati i sani ideali illuminati delle democrazie liberali
ottocentesche sono finiti per risolversi in un’affermazione dei principi del Libero Mercato.
Da quando le generazioni contemporanee hanno iniziato a formarsi sulla distopia di una libertà d’iniziativa dei privati, che ha finito per giovare soltanto agli attori economici di maggiori dimensioni schiacciando quelli più piccoli,
da intendersi come assenza di stato e totale autonomia multilivello,
il controllo è venuto meno e, con esso, è sfumata la possibilità per un contesto sociale di reagire positivamente alle crisi e rilanciare le basi per una crescita economica.
Con l’affermarsi di un Liberismo imperante è venuto meno il principio del controllo e dell’accentramento.
Si è perso di vista che la possibilità di amministrare correttamente sia un concetto strettamente legato all’accentramento burocratico ed amministrativo e al necessario intervento diretto, ma intelligente, dello Stato democratico nell’economia.
La sovranazionalizzazione degli organi decisionali e il frammentarsi del principio di autorità nazionale hanno scomposto ancora più la gestione della Cosa Pubblica, in ambito sociale, politico ed economico.
Soluzioni e rimedi devono passare il vaglio multilivello di strutture decentrate e dislocate rallentando i tempi e l’efficacia delle risposte alle crisi.
Urgono invece risposte pronte, coordinate e veloci che quindi solo l’azione coesa e strutturata di uno stato più centralizzato può garantire.
Bibliografia:
– Max Weber, la politica come professione, Oscar Mondadori, Milano, 1919 (1 publ)
– Eric J. Obsbawm, Il trionfo della borghesia, Ed Laterza, Bari, 2018
– Marcello Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Il mulino ed.,2020
– Arthur M. Schlesinger, JR., The comincia ora The New Deal, A mariner book, NY.,2003