Il Coronavirus sta rappresentando una prospettiva per una società in cambiamento, che potrebbe rivelarsi un drammatico epilogo per la nostra generazione.
Molte volte, nella storia, l’individuo si è trovato a fronteggiare eventi catastrofici nei quali, per mezzo della sapiente arte umana che contraddistingue la nostra specie, l’uomo è stato al contempo artefice e mesto spettatore della propria decadenza.
Sospinto dalla brama di potere che lo caratterizza, l’animale uomo ha trascinato i propri figli a morire in conflagrazioni belliche devastanti e creato macchine ed apparati in grado di trasmutare il mondo, alterandone irreversibilmente gli equilibri.
Il tutto, con il suo atroce impatto, è stato comunque il sensazionale prodotto dell’ingegno e della creatività di esseri così straordinari quanto imprevedibili e pericolosi.
Molti pensano, nella consapevolezza di come possano rivelarsi i propri simili, che il Coronavirus sia il prodotto malato di un esperimento in laboratorio, concepito da qualche colosso della finanza o della fantapolitica per sovvertire ai suoi misteriosi scopi il destino del mondo globalizzato.
Certo è che il Coronavirus sta riformulando le grammatiche e lo schema culturale nella prospettiva di una società in cambiamento.
Una cultura sociale quella italiana, ma anche di altri Paesi mediterranei, degli abbracci e dei baci amichevoli, passionali, fraterni.
Il Coronavirus sta cambiando gli schemi relazionali sovvertendo una cultura sociale millenaria, caratterizzata da piccoli gesti come “cazzotti” dati per scherzo e “pacche” sulle spalle ad amici e parenti.
Forse non succederà più che uno studente erasmus in Italia, proveniente dal Nord Europa, debba stupirsi e quasi indignarsi nel vedersi circondato da coetanei che per scambiarsi fraterno affetto si toccano e si abbracciano, rompendo quegli spazi della prossemica alla tipica italiana maniera.
Il Coronavirus trasforma la sociabilità e la sociazione, secondo quella che è stata la fortunata distinzione precisata dal sociologo e filosofo tedesco Georg Simmel in “La Socievolezza“.
In questo saggio dei primi del ‘900 la Sociazione (Vergesellschaftung) è vista da Simmel come quell’insieme di strumenti e ingredienti, quali le innate pulsioni dell’amore, della fame, della sete, e ancora le svariate inclinazioni psichiche, l’interesse, il movimento, che divengono una sintesi finale nell’unità dell’umana cooperazione e condivisione.
La sociazione si evolve in forma sociale nel momento in cui mescola questi ingredienti, innati nella natura umana, e ne crea una forma sociale, intesa come modalità e tecnica della relazione di scambio sociale.
La società plasma i suoi spazi, che sono spazi di condivisione e cooperazione. Nasce dunque il lavoro, lo sport, la comunicazione e la realizzazione di grandi cose.
Allo stesso modo nel linguaggio tecnico, proprio del campo della biologia e della botanica, sociazione è il termine che indica una categoria sistematica di una specie o sottospecie biologica; intesa quale unità fondamentale di un sistema scientifico di classificazione.
Quando Simmel scrisse il suo saggio viveva la realtà di una Berlino in pieno sviluppo industriale, la quale aveva visto triplicare in pochissimi anni la sua popolazione di individui.
I Berlinesi avevano lasciato gli strumenti da lavoro in campagna per innalzare grandi edifici e sviluppare l’industria in città.
Questi spazi nuovi erano il preludio di una società nuova nella cui unità stava il segreto della propria grandezza.
Dall’interpretazione della contemporaneità di Simmel traspare quello che la docente Gabriella Turnaturi definisce come “pensiero metropolitano”, in cui il tutto entra in relazione con tutto, creando destabilizzazione e contrapposizione; creando movimento e sviluppo.
Il Coronavirus sembra delineare il presupposto per una società in cambiamento; un cambiamento involutivo in cui il tutto rischia di tornare in se stesso.
Un’ diacronico passo indietro nella storia dell’uomo, in cui i contatti tra esseri umani sono sempre più evitati e temuti.
Un momento storico nel quale
le più grandi conquiste della contemporaneità
sembrano svanire nella fobia del contatto.
Il Coronavirus sta di fatto programmando la prospettiva di una società in cambiamento, nella quale ad essere messo in discussione è il concetto stesso di comunità.
Ecco dunque che l’essere umano si sente perso in un macabro scenario post-apocalittico, nel quale il fondamento della globalizzazione viene destrutturato e l’individuo torna in se stesso, nel proprio isolamento e nella propria casa.
Le più grandi conquiste del ‘900 sembrano dissolversi nella paura del contatto con l’altro.
La tanto temuta tecnologia, che i recenti sociologi hanno definito più volte come vincolo alle relazioni umane, diviene ora l’unico modo per potersi relazionare con le persone che si amano.
La tecnologia, che negli ultimi anni ha diviso le persone, creando dei muri virtuali invalicabili nei momenti di sociabilità come lo stare a tavola, il passeggiare in un parco o il prendere il sole in spiaggia, diventa ora l’unico canale possibile per consentire alle famiglie di sorridersi, di salutarsi.
La tecnologia e il virtuale divengono l’unico modo possibile per gli innamorati di darsi un bacio che, se pur virtuale, è carico di amore e soprattutto, sicuro dal rischio di probabile contagio.
Bibliografia:
- Vittorio Cotesta, Marco Bontempi, Mariella Nocenzi :“Simmel e la cultura moderna: La teoria sociologica di Georg Simmel”, Franco Angeli, Milano, 1992
- Georg Simmel:”La Socievolezza”, a cura di Gabriella Turnaturi, Armando Editore,Roma,2017