La Repubblica in Italia fu il risultato di un errore di stile commesso da Re Vittorio Emanuele III alla vigilia del crollo del Fascismo. Verosimile la tesi del broglio elettorale che vide, per pochi scarti, vincere la forma di governo repubblicana su quella monarchica.
Una tesi plausibile ma la storia ha poco a che fare, di solito anche se non sempre, con quel complottismo tanto caro ai nostalgici e ai sensazionalisti.
A far vincere la Repubblica fu un errore di strategia politica commesso da Re Vittorio Emanuele III.
Egli poteva estromettere Mussolini dal ruolo di egemone dittatoriale che rivestiva;
era infatti formalmente nelle facoltà del monarca
revocare la legittimità al Governo di Benito Mussolini.
Nella prima fase di transizione dalla dittatura alla democrazia, che andò dal 1943 al 1945 l’Italia era sull’orlo della disfatta bellica in un momento nel quale sarebbe stato opportuno, per la monarchia, optare per una scelta decisiva che avrebbe incontrato il sostegno della Chiesa, degli Italiani, dei nascenti partiti di massa e delle truppe alleate.
E’ in questa prima fase che tutti quei partiti ed associazioni messi fuorilegge dal Fascismo si riorganizzarono nel Comitato di liberazione nazionale aprendo la strada allo sbarco degli angloamericani dal Sud Italia. Sarà questo evento a spaccare il Paese in due: al Sud le truppe Alleate e a Nord gli ultimi disperati tentativi di riprendere il controllo del Paese da parte dei Nazisti.
In questa prima fase l’armistizio dell’Italia nel 1943 marca una linea di continuità con la Monarchia sabauda, la quale avrebbe dovuto giocare le sue carte scegliendo di salire sul carro del vincitore angloamericano in via definitiva.
In realtà in un discorso pronunciato alla radio il 25 Luglio,
il giorno stesso dell’arresto di Mussolini, Vittorio Emanuele declamava
“La guerra continua a fianco dell’alleato tedesco”.
Una frase dalla rilevanza storica decisiva che segnerà il futuro destino dell’Italia nella sua scelta per la Repubblica. L’arresto di Mussolini non aveva segnato l’epilogo definitivo dell’esperienza fascista che continuerà con la Repubblica di Salò in seguito al colpo di mano tedesco che liberò Mussolini e lo condusse alla guida di un disperato Governo fantoccio.
Né gli antifascisti, riuniti nel Comitato di liberazione nazionale (CLN), né gli angloamericani, né la maggioranza del popolo italiano, e neppure la Monarchia sabauda riconosceranno legittimità alla Repubblica di Salò. Nei giorni successivi allo scioglimento del Partito nazionale fascista Vittorio Emanuele III condurrà in maniera esemplare la restaurazione del potere monarchico in una soluzione autoritaria e di continuità, ma senza la dittatura fascista.
La dissoluzione dell’impianto burocratico e amministrativo dittatoriale lasciava di fatto il Re come unico erede alla guida di un Paese sconfitto che riconosceva, in un primo momento, Casa Savoia come la liberatrice dal giogo nazifascista.
Per un attimo la Nazione,
occupata dalle truppe tedesche al Nord ed angloamericane al Centro Sud,
privata della sua identità e dignità statale,
sembrava dimenticarsi della collusione che la Monarchia aveva avuto con il regime.
Sarebbe stata quella l’occasione decisiva, per Vittorio Emanuele, di cavalcare l’onda dell’opportunità e volgere le sorti delle future vicende a proprio vantaggio. Con quell’annuncio alla radio la popolazione perderà completamente fiducia nel sovrano e in Casa Savoia.
“La guerra continua a fianco dell’alleato tedesco”.
Mai nella storia d’Italia venne pronunciata pubblicamente frase più inopportuna di questa. Ad indignare gli Italiani non fu il dover fare i conti con il fatto che il proprio Monarca non avesse capito minimamente come si stessero evolvendo le sorti della guerra e che la sua ostinazione fosse quella di mantenere un’alleanza con un potere ormai sconfitto.
Quello che ancor più indignò gli Italiani, che nelle successive elezioni avrebbero votato a quanto pare per la Repubblica, fu che nelle parole del Re c’era la volontà ferma di continuare a combattere una guerra ormai persa.
Alla luce di questa ostinazione, che per nulla sembrava avere a cuore gli animi stanchi e provati dei soldati e dell’intera popolazione, l’Italia perse l’ultima occasione di essere trattata decentemente al tavolo delle trattative nel dopoguerra. Sarebbe bastato rendersi conto un attimo prima verso quale parte stare, che le sorti del Paese, al tavolo delle trattative di pace, sarebbero state nettamente meno gravose.
Il Re non riuscì ad aprire più positivi dialoghi di trattativa con gli Alleati e l’8 Settembre 1943 sarà firmato un armistizio punitivo che costringerà l’Italia a cedere tutti i possedimenti coloniali in Africa cedendo alla Francia e alla Jugoslavia alcune zone di confine. Maggiori danni si ebbero a livello economico per la perdita di alcuni vantaggiosi accordi commerciali, come ad esempio con la Cina, e sul punto di vista morale per una guerra civile che si sarebbe potuta ridurre al minimo con un immediato e risolutivo armistizio.
Bibliografia:
- Simona Colarizi. “Storia politica della Repubblica dal 1943 al 2006”, Ed. Laterza, Bari,2016
- Sabatucci G. Vidotto V. “Storia contemporanea il 900”, Ed. Laterza, Bari, 2004
- Sabatucci G Vidotto V. “Dalla Grande Guerra ad oggi”, Ed. Laterza, Bari, 2019