Trent’anni fa, il 9 Novembre 1989, cadeva il muro di Berlino; “crollava la visione kafkiana e concreta di quella che una volta era la Cortina di ferro“, secondo la suggestiva definizione che ne diede in diretta al TG1 l’allora giornalista della Rai Paolo Frajese.
Eccola, una folla in festa gridare alla libertà e all’Occidente. Giovani varcare i ruderi di quel muro dell’anima, alla scoperta di un Occidente di cui avevano sentito solo i racconti. Vecchi tornare a riscoprire il profumo di quanto era ormai vivo solo nei loro ricordi.
Sembra ancora oggi, dopo trent’anni, che l’Europa intera possa sentire i colpi delle palle da demolizione su quel grottesco paravento simbolo della Guerra Fredda e della contrapposizione tra due distinte visioni del mondo. Il 9 Novembre 1989 è stata la concretizzazione del sogno di libertà che molti covavano da decenni.
Sotto le note anticipatorie di “Balls to The wall” (1983)
della band heavy metal tedesca degli Accept, guidata da Hudo Dirkshneider,
i leader della Germania dell’Est cedevano sotto
le pressioni della comunità internazionale e si accingevano
a mollare la stanca presa su un regime ormai anacronistico e stremato.
Un impeto incessante di evoluzione progressista che neppure gli interessi di potere e le bramosie ideologiche potevano più arrestare. Il segretario generale del Partito comunista sovietico Michael Gorbacev (eletto nel 1985) si trovava di fronte ad una realtà che ormai era inevitabile e di cui era impossibile riprendere il controllo. Una realtà che egli stesso aveva significativamente contribuito a creare con le sue politiche di apertura (glasnost) e di riforme socio-economiche (perestrojka).
Michael Gorbacev avrebbe rappresentato, in quel clima di tensione diplomatica tra i due colossi internazionali, quello che il destino aveva negato al presidente Roosvelt improvvisamente morto appena dopo gli accordi postbellici di Yalta ( febbraio 1945). Con la morte di Franklin Delano Roosvelt il mondo intero vide sfumare la possibilità di dialogo tra Occidente e Urss e si ritroverà piombato nella Guerra Fredda. Quest’ultima verrà infatti causata anche dall’atteggiamento decisamente ostile che Harry Truman mostrerà verso Stalin nella successiva conferenza di Potsdam, a cavallo tra luglio e agosto del 1945. Questo cambio di leadership nella politica statunitense sarà una delle cause che renderanno inevitabile l’inasprirsi della Guerra Fredda e la costruzione del muro di Berlino nel 1961.
L’acume politico riproposto da Gorbacev porterà l’Urss a riprendere quel dialogo di apertura con l’Occidente che sarà alla base di una serie di moti di ribellione che, una volta caduto il muro di Berlino, dilagheranno tra quelle che di lì a poco si proclameranno come le ex repubbliche socialiste sovietiche. Al principio e alla base vi fu un accordo storico tra la leadership dell’ Urss e quella statunitense. Una promessa di rispetto delle reciproche sfere di influenza, riprendendo i presupposti che si erano creati a Yalta tra Roosvelt e Stalin.
Dinnanzi a questo accordo Gorbacev non forzò più la mano per ostentare il mantenimento di un impianto burocratico dittatoriale che, dopo la caduta del muro di Berlino, vacillava sempre più sotto il suo insostenibile peso.
All’innovazione e al vento di libertà che seguiranno alla caduta del muro di Berlino, e che culmineranno con il crollo dell’Unione sovietica nel 26 Dicembre del 1991, farà seguito la rottura di quel patto da parte dell’Occidente americanizzato. Sarà infatti il 1994 l’anno in cui la Nato decreterà l’inizio del programma pfp (partnership for peace), con cui gli Stati Uniti ingloberanno nel Patto atlantico ( la Nato) quelle ex Repubbliche socialiste sovietiche sulle quali avevano dato parola che non avrebbero esteso la loro influenza militare e politica.
Le conseguenze che questo allargamento ad Est della Nato porteranno sono alla base di quel sentimento latente comune, in Europa e negli Stati Uniti stessi, che di fatto la Guerra Fredda non sia mai finita realmente e che sarà per sempre una costante nei rapporti internazionali tra i due paesi. Questo livore per il mancato rispetto della promessa statunitense alla Russia, è stato recentemente rivendicato nel 2015 in occasione dell’occupazione della Crimea(2014) da parte delle truppe russe di Vladimir Putin.