Capitalismo reale è quindi il capitalismo per come si manifesta nella realtà empirica; come è realmente percepito e vissuto dalla società contemporanea. Si ha di fronte, quindi, un capitalismo ben lontano da come dovrebbe essere secondo l’accezione di libero mercato derivante dall’ideologia più ampia del liberismo economico. Un capitalismo inteso come progetto di società liberale dovrebbe essere in linea con le logiche democratiche: libertà di entrata ed uscita dal mercato, possibilità di entrare in più economie e libertà per le merci di circolare senza vincoli, se non quelli posti dalle norme di legge, all’interno delle regole di mercato dei vari paesi.
Il capitalismo reale, secondo l’analisi di numerosi esperti, quali ad esempio Stiglitz, Chomsky, Bauman e Robert Reich, è invece la negazione di tutto questo. Quando per capitalismo si intende un’azione predatoria tesa a tutelare maggiormente gli interessi finanziari delle grandi multinazionali e delle banche, si esce dall’aspetto economico e ci si focalizza sul denaro, sulla finanza in senso stretto. Si finisce con il valorizzare, spingendolo all’estremo, un sistema fortemente monopolistico che limita ulteriormente l’autonomia del mercato.
Dalla fine degli anni ’70 si è assistito ad un progressivo deterioramento della ricchezza; disparità di redditi, diseguaglianze, disoccupazione, peggioramento degli standard di vita.
Con la fine del regime di Bretton Woods l’economia reale,
quella fatta di scambi e merci, caratterizzati dal valore effettivo delle transazioni economiche, è uscita da se stessa per ridursi alle logiche speculative della finanza virtuale.
Per l’istituzione del denaro è venuto meno il suo peso legittimo, e la moneta ha perso, per conseguenza, il valore reale. Quello rappresentato dalla convertibilità diretta del denaro in oro.
I soldi si sono per questo trasformati in un bene dal valore meramente virtuale.
Quello che era prima il valore della moneta, poteva definirsi tale per il corrispettivo aureo nei Caveaux delle Banche centrali. Era quindi presente una tangibile rappresentanza di quel valore nominale. Proprio attraverso la convertibilità della moneta in oro, questa aveva credibilità figurando concretamente lo specchio della ricchezza di un Paese.
Con Bretton Woods il sistema capitalistico statunitense, specchio oggettivo dell’economia occidentale, ha dovuto ammettere a se stesso, e al mondo intero, che non poteva più garantire questa trasparente oggettività del valore del dollaro.
Quello che prima era la ricchezza è diventato debito e gli Stati Uniti hanno iniziato ad emettere titoli di Stato alla Federal Reserve Bank in cambio di moneta, indebitandosi dunque con essa per mettere in circolazione denaro senza che questo avesse alle spalle un corrispettivo valore in oro.
Il capitalismo inteso come libero mercato è divenuto, dunque, un paradisiaco scenario utopistico rispetto al capitalismo reale fondato sul debito e sullo spostamento del centro decisionale dallo Stato, organo legittimato a prendere decisioni politiche, ai grandi gruppi finanziari. Questi ultimi, improvvisamente, hanno potuto avere una significativa voce in capitolo sulle politiche pubbliche in quanto di fatto, oramai, si erano autoproclamati come gli organi garanti della ricchezza dei paesi con essi indebitati.
L’esplodere delle multinazionali, nei più vasti settori di interesse finanziario, come le assicurazioni, i prodotti finanziari, immobiliari, il petrolio e l’energia in genere, fino ad arrivare agli Organismi sovranazionali, quali l’ONU e l’Unione europea, hanno incrementato questo processo di frammentazione del potere decisionale e, di riflesso del principio di legittimazione dell’autorità. A questo proposito si è iniziato a parlare di “Sovranità diffusa” (Tom Burns) o di “Società liquide” (Zygmunt Bauman).
La “liquidità” è metaforicamente da intendersi come una frammentazione dell’identità politica che pone il cittadino, l’individuo sociale, in una posizione di crisi profonda non potendosi più riconoscere in una realtà sovraordinata specifica. L’essere umano si trova di fronte ad organi di potere che prendono decisioni non più per l’interesse della collettività o per il progresso ed il mantenimento della cosa pubblica, ma per il perseguimento di quei fini specifici cari ad organismi privati con i quali gli Stati sono costretti a negoziare continuamente il proprio principio di sovranità.
In un contesto in cui l’organo che sarebbe legittimato a decidere, ossia il Parlamento di uno Stato, si trova invece ad essere il segretario chiamato a registrare decisioni già prese, frutto di una volontà spinta interessi privati, tutto l’impianto di principi, valori e norme su cui si sono fondate le moderne democrazie, viene messo in profonda crisi.
E’ per tanto questa, la crisi cui siamo chiamati a rispondere: una crisi di identità che si è poi tradotta in conseguenze dal punto di vista economico e finanziario. Uscire dalla crisi significa, per gli autori presi in esame, entrare in quell’atteggiamento mentale creativo in grado di ripensare l’intero sistema in cui viviamo: quello capitalistico, quello democratico, quello globale.
Globalizzazione, capitalismo, democrazia ci hanno spesso complicato le cose, ma con valide “istruzioni per l’uso” potranno rivelarsi nel prossimo futuro degli ottimi compagni di viaggio per una Comunità internazionale che voglia crescere e prosperare.
Bibliografia:
- Robert Reich, Come salvare il capitalismo, Fazi Ed., Roma, 2015
- Joseph Stiglitz, La globalizzazione che funziona, Einaudi Ed., Milano, 2007
- Zygmunt Bauman, Identità liquide, Ed. La Terza, Bari, 2015
- Zeit geist addendum, Movimento Zeith geist parte 1.
- Noam Chomsky e C. J. Polychroniou, Ottimismo (malgrado tutto), Capitalismo, impero e cambiamento sociale. Ponte alle Grazie di Mauri Spagnol Ed., Milano, 2018
- Carlo Mongardini, Società politica vol.1, Universitas ECIG, Genova,2004