Alla vigilia delle discusse sanzioni, mosse dall’Occidente alla Russia, veniva stipulato un inaspettato accordo sul gas, tra Pechino e Mosca. Questo si rivelava in grado di redistribuire i dividendi della potenza sullo scacchiere geopolitico internazionale. Ecco così che l’egemonia mondiale Statunitense entrava definitivamente nel tunnel del declino.
Mentre gli Usa si concentrano nella loro pluriennale sfida alla Russia post sovietica, in Europa la Germania non può che assecondare i propri interessi economici protendendo a favore del colosso euroasiatico. La Cina avanza sempre più prepotentemente sullo scenario internazionale, forte della certezza che raccoglierà il testimone dagli Stati Uniti d’America nella ciclica staffetta per l’egemonia mondiale.
La Russia e gli errori di Washington.
Attribuire, in questo momento storico, pesanti sanzioni alla Russia, significa pensare di poter essere superiori al principio base del pensiero strategico classico, a tal punto da pretendere di fermare la Storia. Questo è forse l’errore principale che gli Stati Uniti d’America stanno commettendo nel giocare la loro partita sullo scacchiere mondiale.
Nell’arcaica Cina del VI secolo avanti Cristo, lo stratega Sun Tzu affermava che, come l’acqua sa infiltrarsi nelle fenditure della roccia per spaccarla dall’interno, così il generale saggio sa operare in un’ottica di flessibilità al fine di adattare il suo agire alle condizioni specifiche nei diversi contesti e nei diversi tempi. Rifiutare l’ormai evidente ascesa del colosso cinese e il fatto che la Russia di Putin costituisca ormai il perno dell’equilibrio euroasiatico è nella sostanza come pretendere di arrestare il flusso naturale dei ricorsi storici. Nei fatti le sanzioni imposte alla Russia dall’Europa, conseguenza diretta del retaggio di stampo neocon della politica statunitense, hanno involontariamente favorito l’intesa Putin-Xi Jinping, segnando così l’autogol di Obama.
In sostanza le recenti azioni perpetrate, direttamente o indirettamente attraverso l’Europa, dagli USA al fine di ostacolare la Russia di Putin nel suo tentativo di gestire i propri affari in terra Ucraina e di riappropriarsi della Crimea, hanno applicato tutti i postulati della strategia militare al contrario. Non da ultimo l’approccio statunitense alle recenti vicende di politica estera ha avvicinato due rivali, che come per gli Stati europei soverchiati dall’Impero napoleonico, hanno trovato in un comune nemico uno stimolo per allearsi e sconfiggerlo. Sebbene storicamente Russia e Cina, difficilmente potranno vedersi alleate, l’accordo firmato nei mesi scorsi tra la società di idrocarburi russa Gazpom e le autorità cinesi ha sancito un accordo trentennale per la fornitura di gas siberiano. La storia insegna, come del resto anche nel caso della stessa Unione Europea, che è proprio dagli accordi commerciali che si gettano le fondamenta per intese ben più estese. E’ così che Obama vede sfumare il suo tentativo di creare un perno asiatico (pivot to Asia) estendendo l’influenza della Nato ad Est. Inoltre l’avventata azione europea e statunitense di sanzionare la Russia e sfidarla apertamente, in quel territorio che sarebbe dovuto restare sotto la sua diretta e naturale influenza, ha vanificato gli sforzi diplomatici di oltre quarant’anni di politica estera americana. Nel lontano 1971, infatti, l’allora segretario di Stato dell’amministrazione Nixon, Henry Kissinger, partiva in segreto dall’aeroporto di Islamabad scortato da una delegazione cinese verso Pechino. La visita di Kissinger in Cina aveva lo scopo di spianare la strada per un intesa tra Washington e Pechino; una svolta storica in grado di risollevare la notorietà e il prestigio dell’amministrazione Nixon afflitta dal duro colpo inferto dalle fallimentari vicissitudini in Vietnam. Il successo del lavoro diplomatico di Kissinger porterà ad un incontro tra Mao e Nixon, l’anno seguente, che aprirà la faglia creatasi tra Urss e Cina con la guerra del 1969 riducendo così l’influenza di Mosca nel Pacifico. Altra miopia strategica che gli Usa sono destinati a pagare a caro prezzo è rappresentata dall’ostinazione ossessiva di guardare al Levante, in termini di investimenti in risorse umane economiche e militari, senza comprendere che è ormai in Asia che si stanno disputando i “play off “ per la futura leadership mondiale.
Le correnti ascensionali cavalcate dalla Cina.
Forse è proprio per la fedeltà e la coerenza alla sua tradizione culturale e ai grandi esponenti della filosofia dell’equilibrio propri della cultura cinese, che il colosso asiatico sta raccogliendo i frutti della strategia dell’attesa che ha perseguito fino ad ora a partire dagli ultimi cinquant’anni. Se da un lato il recente accordo sino russo sul gas rappresenta un passo decisivo per il lento deteriorarsi della leadership globale americana, dall’altro si configura come un ulteriore spostamento della Russia nell’orbita cinese.
Putin, sotto le incalzanti pressioni delle sanzioni per l’annessione della Crimea, si è affrettato a firmare, dopo dieci anni di trattative, l’accordo economico sul gas con i suoi amici-nemici cinesi ed è per questo sceso a compromessi particolarmente vantaggiosi per la controparte. La politica cinese di Xi Jinping è ora uscita da suoi confini nazionali, dopo che l’isolazionismo voluto dal predecessore Deng ha preparato per anni il Paese all’attivismo in politica estera. Nella strategia d’attesa perseguita dalla Cina nel corso degli ultimi vent’anni vi era, oltre che l’attesa di momenti favorevoli come quello attuale, anche l’esigenza di rafforzare internamente le amministrazioni e le infrastrutture.
Negli ultimi anni il Paese è cresciuto notevolmente arrivando ad essere la seconda potenza economica mondiale. Di qui al futuro sarà pronto per porsi come guida alla testa dell’ascesa dei paesi emergenti con cui confina. A differenza dell’Occidente,infatti, i territori limitrofi alla Cina si configurano come le aree a maggior potenziale di crescita economica nel medio periodo e tale circostanza, gestita dalla leadership cinese, potrebbe creare in poco tempo una compagine antiamericana sempre più ricca ed economicamente pronta a contrapporsi ad un Occidente sempre più povero. In questo contesto Putin ha apertamente ammesso a se stesso e al mondo di aver preferito il ruolo di junior partner della Cina piuttosto che abbassare la testa all’incalzante e continua provocazione statunitense.
La Cina ha inoltre mostrato grande capacità di autodeterminazione avanzando con fermezza la sua politica di controllo del Mar Cinese Meridionale, dove non si è minimamente preoccupata dell’allarme che avrebbe suscitato in Giappone, Filippine e Corea del Sud ed ha ugualmente perseguito la sua azione di forza in modo molto più aggressivo rispetto alla oramai superata politica attendista di Deng. Un esempio della sicurezza del governo cinese risiede nella recente installazione, a ridosso delle isole Paracelso, di un imponente impianto petrolifero; proprio in quelle che il Vietnam considera sue acque territoriali. La leadership cinese non sembra dover rendere conto a nessuno in quella che sempre più sta trasformandosi come la sua Asia dal momento che la seconda potenza mondiale sta ottenendo, giorno dopo giorno, tutto ciò che vuole facendo vacillare la posizione degli Usa.
La posizione dell’Europa e le scelte obbligate della Germania.
Nonostante l’Europa abbia accettato passivamente di configurarsi come mera colonia degli Stati Uniti d’America, non può ignorare quelli che sono i propri oggettivi interessi. La situazione paradossale che l’ eurozona sta soffrendo è infatti quella di vedersi guidata da una Germania che dipende dalle esportazioni cinesi e abbisogna degli approvvigionamenti del gas russo per alimentare la sua economia. Gli Usa, credendo di poter manovrare l’Unione europea plasmandola a immagine e somiglianza dei propri interessi, sembrano non essersi resi conto che la situazione è ben diversa rispetto ai tempi del Piano Marshall. Oggi ci si trova dinnanzi ad una Germania ricca, unita, sovrana e potente che emerge come faro per gli stati europei e sta mostrando di avere interessi strategici profondamente differenti rispetto a quelli di Washington.
L’accordo di Gazpom ha rappresentato nella sostanza il definitivo e lampante esempio del nascente sistema globale di approvvigionamento energetico in grado di unire Cina Russia, Germania e Paesi emergenti. L’aumento dei legami tra Germania e Cina mostra come per Berlino contino molto più gli aspetti economici che quelli strategico-militari rendendo più accattivante un’intesa con Pechino piuttosto che con gli Usa. Va inoltre considerato che la strategia statunitense di fondare il core business della propria politica estera sull’Europa è ormai anacronistica. Prima vi era lo spauracchio comunista della vicina Urss e appoggiare la ripresa europea significava fidelizzare un continente intero in chiave antisovietica. Oggi la situazione è quella di un’Europa provata dalla crisi economica, ma bisognosa del gas russo in un contesto geopolitico dove la Cina sta mettendosi alla testa di quello che fra circa dieci anni potrebbe essere, in termini di ricchezza, il nuovo Occidente.
Si può ancora salvare il capitalismo democratico?
Nella parte introduttiva alle Storie di Erodoto, compare una dichiarazione di metodo che l’autore della Grecia arcaica presenta ai suoi lettori nella quale afferma: “…vi racconterò di città grandi e piccole allo stesso modo perché quelle che un tempo furono grandi un domani saranno piccole e quelle che ora sono piccole un domani saranno grandi…” L’ordine globale post 1945 sta vacillando e quello che Barry Buzan nel suo saggio “il gioco delle potenze” definisce come scenario multipolare potrebbe realizzarsi a breve con l’affermarsi definitivo dei paesi emergenti a guida cinese e, forse, in seconda battuta anche russa.
Dalla contrapposizione Usa Urss, tipica della fase bipolare, si è passati ad una leadership globale incontrastata degli Stati Uniti che è stata messa in discussione dalle organizzazioni terroristiche non statali e para statali caratterizzanti gli eventi dell’11 Settembre 2001. Quanto si sta verificando ora in Asia e nella zona euroasiatica potrebbe chiudere la fase della frammentazione del potere determinando nei prossimi decenni uno spostamento ad est del polo egemonico a guida cinese in Asia e russa in Europa, con gli Usa nettamente ridotti a mera potenza regionale. Unico punto su cui l’Occidente può ripensare e rifondare il suo ruolo internazionale sembra essere rappresentato ad oggi dal Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) che si presenta come molto più di un trattato commerciale.
L’accordo transatlantico di libero scambio, infatti, è attualmente ancora un mero negoziato sul quale potrebbe essere opportuno ripensare, di qui in futuro, i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. Un patto formale per rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori facilitando acquisto e vendita di prodotti tra Usa ed Europa e ricreando le basi per un’intesa proficua e conveniente fra i due continenti. Unica speranza per cementare la convergenza di interessi economici tra Europa e Usa, ormai prossima al tramonto.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 2/2015 di “Euirasia”: “La muraglia che non crolla”