“Europa Unita sogno dei saggi”. Capire la storia dell’Unione Europea per comprendere la “Brexit”.
Quanto accaduto negli ultimi giorni è stato guardato dal mondo intero come un evento di portanza epocale per un’Unione Europea che non ha saputo né voluto, o forse potuto, essere fino in fondo Unione. Ci siamo trovati dinnanzi all’enorme bisogno da parte degli Stati, in questo caso specifico quelli appartenenti all’isola della Gran Bretagna, di rientrare in possesso della propria sovranità che l’Unione Europea aveva loro sottratto.
Sebbene non sia mai piaciuto all’Unione Europea, la sovranità è un principio caro alla tradizione moderna europea che, nel corso dell’età contemporanea è andato scemando a vantaggio di un organismo sovranazionale le cui ingerenze sono andate, spesso, al di là di quello che avrebbero dovuto. Come ha affermato l’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti i Britannici hanno sempre premuto per confezionarsi una Unione Europea “su misura”; per tenersi fuori da quei provvedimenti, sempre più restrittivi, imposti da Bruxelles.
Un’ Unione Europea che dice agli Stati come devono gestire le loro politiche interne, dall’accoglimento e l’integrazione dei migranti, fino alle rotonde sulle strade, dalle certificazioni sui prodotti alle misure economiche. Un’ Unione Europea che secondo Giulio Tremonti è passata dal regolare ogni singolo aspetto della vita economica dei suoi Paesi membri, al decidere ogni singolo minuto della vita delle persone.
Occorre precisare, come afferma Maria Grazia Melchionni nel suo lavoro, “Europa Unita sogno dei saggi”, che il progetto di Unione Europea nacque dal delirio intellettuale di personaggi del calibro di Jean Monnet, che nel 1952 divenne il primo Presidente della Comunità europea del carbone e dell’acciaio o, prima ancora, del conte Richard de Coudenhove Kalergi. Quest’ultimo, filosofo e politico austriaco, con il suo testo del 1923 dal titolo “Paneuropa” fondava delle linee guida per un progetto volto alla creazione di una Federazione degli Stati europei che gettasse delle basi solide per garantire la pace negli anni futuri. Da ricordare che il contesto in cui venne avanzato questo sogno paneuropeista è quello della fine del Primo Conflitto Mondiale, con il quale erano tramontati i quattro imperi coloniali che avevano mosso, fino ad allora, i fili delle vicende belliche mondiali.
Con la Grande Guerra il mondo “uscì dall’Europa” ed estese i propri confini. Occorreva creare delle basi solide su cui cementificare gli interessi di un continente che al suo interno aveva sempre alimentato focolai bellicosi. Questo progetto sarà ripreso dagli Stati Uniti in seguito alla Seconda Guerra Mondiale per garantire un baluardo solido contro l’espandersi della minaccia del comunismo sovietico.
Gli Stati Uniti capirono che le logiche del containment non potevano prescindere dalla questione economica. Un’ Unione Europea nella miseria avrebbe significato un’Unione Europea nell’orbita del comunismo sovietico. Bisognava, dunque, ripartire dal rilancio economico e, primariamente, dal rilancio economico e militare della Germania. Il progetto Paneuropeista era necessario per garantire tanto la ripresa economica degli stati europei, sotto l’egida statunitense, quanto il riarmo di quella che fu la Germania nazista, in condizioni di sicurezza e garanzie.
Oggi cosa ne è di quel paneuropeismo che sembra smembrarsi a poco a poco sotto il suo stesso peso? Semplicemente oggi un’Unione Europea, che negli anni si è evoluta sempre più in senso politico e sociale, non ha più senso. L’Organismo sovranazionale che è arrivato fino ai nostri giorni ha forse compiuto l’errore, tra gli altri, di vedere se stesso sempre più concepito come se fosse stato una alleanza militare, e cioè ” a geometria variabile”. Concepire l’Unione Europea come un insieme di Stati, fortemente diversi tra loro, dal punto di vista identitario, uniti sotto la stessa bandiera, non sembra aver avuto molto senso.
Il non senso è stato, primo fra tutti, l’aver permesso che gli Stati più forti potessero confezionarsi delle regole su misura e che potessero plasmare ed adattare le esigenze dell’Unione Europea alle proprie.
Bruxelles ha creato un mercato unico, relegato e chiuso nei confini europei. Non ci si è accorti che la globalizzazione dei mercati bussa alle porte di tutto il mondo, anche degli Stati europei. Quello dell’Europa, da un progetto di ripresa e securizzazione postbellica è diventato una costante immutabile che ha imposto, negli anni, una vera e propria autarchia.
Quello su cui dovrebbe far riflettere il risultato britannico, che ha visto la vittoria del “leave”, è che probabilmente molti altri Stati, se avessero la possibilità di far votare i propri cittadini, si vedrebbero di colpo fuori dall’Unione Europea.
Del resto cosa aspettarsi da un’istituzione che si presenta come uno Stato, con tanto di bandiera, ma non ha un proprio esercito, non ha una propria costituzione, non ha una banca che sia garante del valore della propria moneta. Un agglomerato di più identità statuali differenti costrette a coesistere da norme tecnocratiche e burocratiche.
Un Organismo sovranazionale (Unione Europea) dove lo Stato più forte può imporre agli altri membri le misure economiche da adottare e dove un altro può decidere di astenersi dall’accogliere quelle regole che non gli fanno comodo. In quest’ottica l’Unione Europea non può funzionare ed il voto britannico ne è stato un esempio e vuole essere un monito.